Beppe Grillo sta già governando l’Italia

Dallo streaming alle banche nazionalizzate, dall'antieuropeismo alle battaglie contro la casta: Grillo propone, i suoi avversari eseguono. E il Movimento sta già cambiando l’Italia, fuori da Palazzo Chigi, senza sporcarsi le mani

di Francesco Cancellato 24 Dicembre 2016 - 08:30

È sempre la stessa, solita, vecchia storia.

Arriva un momento in cui i partiti tradizionali non ci capiscono più nulla, incapaci di comunicare con il loro elettorato, di coglierne gli umori, di portare avanti le loro idee, di frenare la rabbia e la disaffezione.

Di solito questi momenti sono annunciati dalla nascita di una forza extrasistemica - populista, antipolitica, chiamatela come volete -, che generano in quegli stessi partiti tradizionali un attitudine ambivalente. A parole li agitano a spauracchio, li ridicolizzano, addirittura li blandiscono come un pericolo per la democrazia.

Nei fatti, tuttavia, finiscono per realizzarne il programma, vuoi perché cercano di conquistarne l’elettorato, vuoi perché finiscono per esserne culturalmente egemonizzati.

Accadde con la Lega Nord, ricordate? Rozza, razzista, una minaccia per l’unità nazionale, ma poi fu il centro sinistra, con il governo Amato, a cambiare il Titolo V della Costituzione, in senso fortemente regionalista. Del resto, come ebbe a dire D’Alema, non era la Lega una costola della sinistra?

Al pari di Umberto Bossi nel 1999, oggi Beppe Grillo ha di che essere felice. Tre anni in Parlamento, nemmeno un giorno al governo e il Movimento Cinque Stelle può dire di aver cambiato radicalmente l’agenda politica italiana. Di più, può pure rivendicare di averlo fatto senza accordi né compromessi, solamente facendosi seguire dal Partito Democratico e dai suoi alleati lungo il sentiero del populismo, tra le pieghe della pancia del Paese.

«Forse è il caso di nazionalizzarle» diceva ad esempio delle banche qualche anno fa. Era il 30 maggio del 2012 precisamente e quell’affermazione, in piena era Monti - anzi, Rigor Montis - aveva fatto il giro del web, ricevendo lo sdegno o l’indifferenza di tutte le forze politiche. Passano meno di cinque anni e il Tesoro si ritroverà in mano il 62% del Monte dei Paschi di Siena, la terza banca del Paese, misura necessaria per evitarne il fallimento. Di fatto, nazionalizzata.

Fosse solo questo, però. È da quando il Movimento Cinque Stelle ha messo piede in Parlamento col clamoroso 25% delle elezioni del febbraio 2013 che sta condizionando le altre forze politiche. Il Partito Democratico, soprattutto, che a torto o ragione si sente depredato di parte del suo elettorato potenziale. E che a volte, per eccesso di zelo, riesce nel capolavoro di essere più grillino dei grillini.

 

Un po’ come ha fatto il sindaco di Milano Beppe Sala, che si è immediatamente autosospeso quando ha saputo di un indagine a suo carico da parte della Procura Generale di Milano. Sbagliata o giusta che sia, una scelta in linea con quel che Grillo aveva sempre predicato, ma che si è ben guadato dal far seguire dalla sindaca di Roma Virginia Raggi, dopo l’arresto del suo braccio destro Raffaele Marra.

Tre anni in Parlamento, nemmeno un giorno al governo e il Movimento Cinque Stelle può dire di aver cambiato radicalmente l’agenda politica italiana.

Di più, può pure rivendicare di averlo fatto senza accordi né compromessi, solamente facendosi seguire dal Partito Democratico e dai suoi alleati lungo il sentiero del populismo, tra le pieghe della pancia del Paese Grillo ordina, il Pd esegue, insomma. Lo stesso è successo con lo streaming delle riunioni che un tempo si tenevano a porte chiuse. Fu Grillo a volerlo quando a Bersani fu dato un mandato esplorativo per formare un nuovo governo e si incontrarono per le consultazioni. Scandalo, allora. La politica non è mica un reality show, si disse. Da allora i Cinque Stelle hanno smesso di fare delle dirette web un vessillo di trasparenza, mentre il Pd mette in streaming qualunque cosa, a partire dalle sue direzioni nazionali.

Non è solo una questione di metodo, tuttavia. Se il Movimento è forza antipolitica per antonomasia, è vero tuttavia che il finanziamento pubblico ai partiti l’ha (quasi) abolito il Partito Democratico, in nome non si sa bene di quale principio democratico.

Ed è stato sempre il Pd di Renzi, nella sua sfortunata campagna referendaria d’autunno a coniare slogan come “Cara Italia, vuoi ridurre il numero dei politici?”. Se non è uno slogan grillino questo...

Se ne sono accorti molto bene pure in Europa, dove Grillo va a braccetto con l’Ukip di Nigel Farage, mentre il Partito Democratico, in teoria, è parte della grande coalizione che sostiene Jean Claude Juncker.

Che Grillo sia euroscettico ci sta, insomma: «Siamo in preda a un’allucinazione collettiva che ha trasfigurato una Banca centrale europea e la burocrazia in un ideale di Europa che non esiste» scriveva Grillo ne 2013. Veleno per le orecchie dei Dem, nati sulle ceneri dell’Ulivo - di cui ancora portano il ramoscello nel simbolo -, casa degli europeisti doc italiani. Anche in questo caso, però, Grillo fa proseliti: «L’Europa non può diventare la patria delle burocrazie e delle banche, dobbiamo difenderla dall’assalto della tecnocrazia», dichiara Renzi meno di due anni dopo, ben prima di togliere le bandiere europee alle spalle della sua scrivania.

Bersaglio dell’allora Presidente del Consiglio, l’odiato fiscal compact, coi suoi parametri e il suo impegno a ridurre il debito pubblico e a mantenere in equilibrio il bilancio dello Stato: «Noi diciamo che siccome nel 2017 casualmente a Roma si riuniranno i capi di governo e in Ue arriva a scadenza il tema del fiscal compact, noi non accetteremo di inserirlo nei trattati Ue», minacciava Renzi lo scorso 29 ottobre. Parole sinistramente simili a quelle di Beppe Grillo, datate 9 marzo 2014: «Il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà». Vedremo se Gentiloni li prenderà in parola.

Il prossimo giro, potete scommetterci, sarà tutto del reddito di cittadinanza.

Bocciato come una panzana senza senso da tutte le forze politiche sino a due anni fa, già oggi non è più un tabù, al punto che Silvio Berlusconi - uno che la pancia del Paese la conosce bene - si è dichiarato a favore di questa misura. A sinistra, per ora, si tace, ma non dubitiamo che prima o poi qualcuno salirà, ancora una volta, sul carro di Beppe Grillo.

Che potrebbe pure pensarci, a questo punto: che senso ha governare ed esporsi a figuracce come quelle che sta subendo Virginia Raggi a Roma, se tanto il programma te lo realizzano gli avversari?

Categoria Italia

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