Chi cambia la legge elettorale ne paga poi le conseguenze

I sistemi elettorali partoriti dalla consulta per la Camera e il Senato, si dice con ragione, non sono in grado di assicurare una maggioranza omogenea nei due rami del Parlamento

 di Sergio Soave, da italiaoggi.it 17.5.2017

Tutti chiedono a gran voce una nuova legge elettorale, denunciano il balletto di interdizioni reciproche che ne impedisce il varo. Benissimo, ma si può scommettere che, da quelle stesse cattedre, si leverebbe una protesta ancora più decisa se una legge fosse davvero approvata. Sarebbe, come minimo, un inciucio, come se non fosse evidente che per ottenere una maggioranza in Senato è necessaria un'intesa tra partiti diversi e in conflitto. Poi si passerà a spiegare che si tratta dei una «legge truffa», perché i partiti che la avessero approvata sarebbero denunciati per averlo fatto nel proprio interesse, come se fosse ragionevole che un partito sostenga una riforma che va a suo svantaggio.

È del tutto comprensibile che Matteo Renzi, che si rende conto che su questa materia si sta preparando una trappola, cerchi di divincolarsi. D'altra parte, visto che il suo partito ha la maggioranza alla Camera, nessuna riforma elettorale può passare senza il suo consenso, che verrebbe inevitabilmente interpretato come una responsabilità inescusabile nell'inciucio e nel carattere truffaldino, entrambi presunti naturalmente, delle norme eventualmente approvate.

I sistemi elettorali partoriti dalla consulta per la Camera e il Senato, si dice con ragione, non sono in grado di assicurare una maggioranza omogenea nei due rami del Parlamento. Però è difficile, quasi impossibile, garantire che questa situazione di governabilità venga garantita da una qualsiasi legge elettorale. Era già difficile in una situazione bipolare, perché le formazioni minori sabotavano le alleanze elettorali, come fece Umberto Bossi col primo governo di Silvio Berlusconi, Fausto Bertinotti con quelli di Romano Prodi, poi Gianfranco Fini con l'ultimo governo di centrodestra.

In un panorama elettorale tripolare, come quello che registrano i sondaggi e gli esiti delle amministrative più recenti, è ancora più difficile che basti un qualsiasi marchingegno elettorale a risolvere un problema politico colossale. Lo sanno tutti, anche quelli che riempiono paginate di giornale con l'invocazione di una riforma elettorale e con lo sdegno per una politica che «non sa decidere», preparandosi però a demonizzare qualsiasi decisione fosse adottata.

Renzi, cui spetta la responsabilità principale in questa materia, oscilla tra la preoccupazione di essere ancora inchiodato da una campagna in stile referendario contro la «legge truffa» e la speranza, o l'illusione, di modificare la situazione di stallo con un sistema elettorale che lo favorisca. Non si sa che cosa sceglierà, ma forse gli converrebbe tener conto di quello che è capitato ai suoi predecessori, che ogni volta che hanno cambiato una legge elettorale, alla prima prova successiva, ne hanno constatato amaramente l'effetto autolesionista. È capitato a Alcide De Gasperi come a Sergio Mattarella e a Roberto Calderoli. Naturalmente non è detto che la storia si ripeta, ma nemmeno il contrario.

 Italia

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata