La politica e la burocrazia eliminano anche i posti di lavoro che sarebbero possibili

Gli economisti che contano non hanno mai visto una fabbrica, non sono mai entrati in un cantiere, non hanno mai parlato con un imprenditore che imposta e segue i processi gestionali e produttivi

 di Pierluigi Magnaschi, 22.6. 2017 da www.italiaoggi.it

Gli economisti che contano non hanno mai visto una fabbrica, non sono mai entrati in un cantiere, non hanno mai parlato con un imprenditore che imposta e segue i processi gestionali e produttivi. È gente che si annoia a confrontarsi con gli ingegneri, e che non ha tempo per perdersi nei meandri dei processi legislativi. Sono invece portati a costruire modelli macroeconomici sempre più sofisticati, basati su delle ipotesi che sono sempre più lontane della realtà e che quindi, inevitabilmente, producono risultati che indurrebbero chiunque altro a cambiare strada. Marco Cobianchi aveva scritto un libro, subito scomparso dalle librerie, che era basato sulle previsioni pubblicate dai grandi enti economici internazionali e poi confrontate con gli andamenti concreti. Ed era arrivato alla documentata conclusione che il droghiere dell'angolo, senza bisogno di ricorrere ai computer, ci avrebbe indovinato di più.

È procedendo con questi sistemi (sofisticati ed elegantissimi come metodi, ma rozzi e imbarazzanti come risultati) che in Italia non si riesce, ad esempio, a spiegare non solo perché il pil e l'occupazione non crescano da ormai più di un decennio ma anche perché, negli altri paesi dell'euro, i due valori crescano sistematicamente di più che non in Italia. La risposta a questi interrogativi non sta nei grafici asettici e autocompiaciuti ma si può più facilmente trovare nell'analisi dello stato catatonico della pubblica amministrazione che offre una buona mano alla classe politica che, a sua volta, auspica sempre, nei fatti, di bloccare (o, quantomeno, contenere) l'attività economica quasi sempre vista, nei fatti, come una rapina o una violenza all'ambiente o addirittura al quieto vivere.

Ma se si blocca l'attività economica (che già languerebbe per conto suo) non ci si può poi lamentare che l'economia ristagni e l'occupazione langua. Per dimostrare questo assunto ho tenuto nota di alcune anomalie anti-industrialistiche o anti-produttivistiche (di cui nessuno parla, anche se sono evidentissime). Anomalie che non si verificano nella zone più arretrate del paese ma nella città economicamente più avanzata d'Italia: Milano. Immaginarsi altrove.

Primo caso. Dopo inutili trattative durate trent'anni, tra il Comune ambrosiano e le Ferrovie di Stato, si è arrivati finalmente a definire un piano per l'acquisizione e valorizzazione delle immense aree ferroviarie dismesse. Meritevole costruttrice dell'accordo, che le è costato tre anni di intenso lavoro, è stata l'allora vicesindaco della giunta Pisapia, Lucia De Cesaris. Il piano consentiva la creazione di 25 mila posti di lavoro in cinque anni, permetteva la realizzazione di immensi parchi, estraeva dall'isolamento interi quartieri isolati dall'immenso fascio di binari.

Ma contro questo accordo si schierò subito l'ultrasinistra che reggeva la giunta e ad essa diede man forte anche il centrodestra che, evidentemente, non era animato dal desiderio di fare l'interesse della città ma solo di dar fastigio alla giunta Pisapia. Il risultato è stato che il piano delle aree ferroviarie dismesse è saltato per aria. E il vicesindaco De Cesaris (che grazie allo splendido lavoro svolto sembrava essere destinata a diventare il naturale successore di Pisapia nel posto di sindaco) è stata costretta a dimettersi.

I messaggi politici di questa operazione sono chiari e sconvolgenti: primo, non è opportuno studiare e realizzare grandi interventi ma è meglio puntare sul tran-tran (come se, nel 2017, questo modo di procedere fosse ancora consentito). E, secondo, se un pubblico amministratore lavora bene, merita di essere accantonato perché è uno scandalo. L'efficienza in politica determina delle allergie. Merita quindi di essere prevenuta. E, se proprio è sfuggita di mano, essa va repressa. Ovviamente nessun sindacalista (che a parole implora la creazione di posti di lavoro, mamma mia!) ha alzato la voce contro chi boicottava il piano delle aree ferroviarie dismesse e danneggiava i lavoratori edili senza posto (oltre che tutti i cittadini).

Altro caso, l'università Bocconi, che sta meritoriamente scalando i rank internazionali di qualità nella formazione della futura classe dirigente, ha deciso qualche anno fa di realizzare un campus modernissimo, destinato soprattutto ad accogliere residenzialmente i docenti e gli studenti stranieri che, in sempre maggior numero, operano e si formano in questa grande istituzione. Il progetto è stato affidato ad un grande architetto giapponese. Esso prevedeva (oltre ad altri edifici di minore altezza) anche una torre di venti piani destinata a college e a servizi. Il Comune di Milano, quando ha preso in considerazione il progetto, ha subito decapitato la torre, tagliandola, zac, di otto piani e pasticciando qua è là. Non ha pensato (come in qualsiasi grande città straniera si sarebbe fatto su due piedi e con entusiasmo) di modificare il piano regolatore, se ci fossero state delle norme che avessero impedito tale sviluppo in altezza, ma ha imposto risolutamente (qui comando io, perbacco!) il taglio quaresimalistico e masochistico della torre.

Le conseguenze sono state: l'inizio dei lavori è stato ritardato di tre anni (volatilizzando così i posti di lavoro che avrebbero potuto essere creati in questo periodo), è stata ridotta la capienza del campus in studenti e ricercatori (con anche l'eliminazione dei molti posti di lavoro permanenti, in termini di servizi ai pensionanti). Anche qui nessuno si è opposto, nessuno ha dibattuto. Nessuno ha protestato. L'inazione ha vinto ancora. Senza nemmeno fare fatica.

Altro caso. La società Mapei (dell'ex presidente della Confindustria) ha deciso di aggiungere alla sua fabbrica di Mediglia, nel Sud Milano, un centro direzionale di cui ha affidato la progettazione al celebre architetto svizzero Mario Botta, lo stesso che ha realizzato l'ampliamento della Scala. Il progetto (che è stato subito promosso, per l'altissimo livello qualitativo, dalle più prestigiose riviste di architettura di tutto il mondo) è stato però subito bloccato dal Comune perché non è compatibile con l'area a parco che esso invaderebbe. Il fatto è che gli amministratori locali del Sud Milano, specie dagli anni Ottanta in poi, avevano bloccato aree immense a spazio verde (basta pitturarle in un modo anziché in un altro), incuranti della camicia di forza che, tal modo, mettevano a questa area della megalopoli milanese, per cui, mentre a Nord la città Milano si sviluppa quasi senza soluzione di continuità fin verso il confine svizzero, a Sud essa viene costretta ad operare in una sorta di catafalco che aveva già bloccato, tanto per fare un altro esempio, anche il raddoppio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) voluto da Veronesi, impedendo anche qui la creazione di posti di lavoro qualificatissimi nel settore della ricerca di punta e degli interventi sanitari avanzati.

E tralascio la vicenda della nuova, immensa e avveniristica città della sanità, dalle parti di Sesto San Giovanni, a Nord di Milano, nelle aree provvidenzialmente liberate da un'impresa in crisi (la Falk, che è scomparsa, con la siderurgia di un tempo) dove il mega progetto di Renzo Piano si è insabbiato in un contenzioso amministrativo kafkiano di cui non si vede la fine e di cui nessuno è in grado di cogliere il bandolo.

Se non si esce da queste strettoie e non si migliora l'execution dei progetti, i posti di lavoro non si creeranno mai. I tavoli con i sindacati, ad esempio, non dovrebbero essere solo a proposito delle imprese decotte che chiudono (o che fuggono altrove) ma anche a favore di quelle che non riescono a vedere la luce. Purtroppo questo metodo non è emerso nemmeno nelle ultime campagne elettorali, dove prevale il tema della divisione della torta (quando c'è) e non della sua creazione.

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