Sfascisti azzoppati dal referendum

Il voto in Veneto e Lombardia offre un modello di regionalismo alternativo a quello catalano, rafforza una Lega non salviniana (niente felpe) ma segnala un dramma: gli istinti autonomisti non si arginano con governi deboli. Che fare? Una proposta

di Claudio Cerasa 24 Ottobre 2017 alle 06:16   da www.ilfoglio.it

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Mettete per un attimo da parte le lenti del catastrofismo elettorale e tentate di osservare senza pregiudizi apocalittici le conseguenze del referendum sull’autonomia in Veneto e Lombardia, provando a capire al di là della retorica cosa cambia per l’Italia dopo la vittoria rotonda di Luca Zaia in Veneto e la vittoria azzoppata di Roberto Maroni in Lombardia. Alla prima domanda, cosa cambia per l’Italia, la risposta è che cambia poco, anzi non cambia quasi nulla: i milioni di elettori che hanno votato Sì alla richiesta di maggiore autonomia per Lombardia e Veneto non hanno fatto altro che chiedere con straordinaria forza politica la riaffermazione di un principio previsto dall’articolo 116 della Costituzione. Ma al contrario di quello che si potrebbe credere la richiesta di autonomia da parte di due tra le più importanti regioni italiane non è un segnale che indica una deriva populista dell’Italia: è un segnale che indica una possibile alternativa concreta all’Italia dello sfascio.

Ci sono tre elementi da considerare. Il primo è che i milioni di elettori portati al voto da Zaia e Maroni non sono la spia di una inarrestabile crescita della Lega salviniana ma sono al contrario la spia di una inarrestabile crescita di una Lega dove il profilo di governo incarnato dai governatori di regione sarà destinato a pesare di più del profilo di lotta incarnato dalla Lega di Salvini. Il secondo elemento di stabilizzazione prodotto dal referendum è che grazie al voto di Veneto e Lombardia nella prossima legislatura la Lega avrà uno strumento prezioso da utilizzare per sostenere dall’esterno un governo anche in presenza di un governo formato per esempio solo da Pd e Forza Italia (ma che, come già successo oggi con la legge elettorale, potrebbe avere bisogno di un aiuto della Lega, che in cambio di maggiore autonomia nelle sue regioni potrebbe concederlo). Il terzo elemento da tenere in considerazione per capire perché, al contrario di quello che si potrebbe credere, i referendum in Veneto e in Lombardia potrebbero essere delle benedizioni dal cielo (“In Italia torna la dolce vita e torna l’ottimismo”, ha scritto domenica in un reportage dal nostro paese il Sunday Times) è legato al fatto che il modello italiano di autonomia fa tutto sommato del nostro paese un’isola felice, in un contesto europeo dove gli istinti autonomisti spesso si trasformano in istinti indipendentisti.

In Veneto e Lombardia molti elettori hanno votato con rabbia contro i presunti soprusi dello stato centrale ma lo hanno fatto consapevoli di dover trovare in Europa (e non fuori dall’Europa) gli strumenti per essere più autonomi (il modello è la Baviera, più che la Catalogna) e consapevoli di essere lì per dare un mandato alla politica a trattare, non a sfasciare. La domanda giusta che si potrebbe fare a questo punto del ragionamento è ok, ma fino a quando può resistere questo piccolo miracolo italiano? Fino a quando le spinte autonomiste resteranno tali senza diventare pasticci catalani? La questione è importante perché sia le spinte autonomiste sia quelle indipendentiste tendono a emergere in contesti particolari in cui lo stato viene percepito come debole e dunque attaccabile – e la pazza deriva catalana, in fondo, è maturata anche a causa di un sistema istituzionale che ha reso possibile l’esistenza di un governo fragile e che anche per questo non è riuscito a dare ai governanti gli strumenti giusti per prevenire le derive separatiste. Da questo punto di vista il segnale che arriva dalla ricerca di autonomia di due regioni italiane non meno ricche della Catalogna è un segnale che consegna alla prossima legislatura una missione importante, come segnala giustamente il professor Stefano Ceccanti: è difficile gestire razionalmente un processo di questo tipo senza rafforzare le istituzioni del governo nazionale.

Senza un governo forte – e senza un sistema istituzionale solido che permetta al governo di non essere schiavo della frammentazione – le manifestazioni misurate di dissenso che osserviamo oggi rischiano di diventare un domani sempre meno misurate. A vederlo oggi senza troppi pregiudizi (probabilmente le richieste ottenute via referendum si sarebbero potute ottenere anche senza l’utilizzo del referendum) il doppio voto veneto e lombardo è un voto che nasconde molte buone notizie. La Lega di lotta è sempre più una Lega minoritaria. Il centrodestra salviniano è un centrodestra che esiste in tv ma che non esiste nella realtà. La richiesta di autonomia potrebbe dare al presidente della Repubblica nella prossima legislatura un’occasione per allargare se necessario il perimetro di una maggioranza anche alla Lega come fatto oggi con la legge elettorale. Ci sarebbe da essere ottimisti se non fosse che per dare al governo gli strumenti per combattere gli istinti indipendentisti e autonomisti servirebbe una riforma costituzionale persino più ambiziosa rispetto a quella bocciata il 4 dicembre. Servirebbe insomma raccogliere le firme per governare l’autonomismo con una iniezione pura di modello francese. Chi firma?

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Lorenzolodigiani 24 Ottobre 2017 - 11:11

Caro Cerasa, una mia firma per importare in Italia il modello francese ci sara’ sempre. Quanto ai mutamenti genetici che lei intravede nella Lega, sino a ritenere possibile il suo appoggio ad un futuro governo di grande coalizione esprimo fieri dubbi. Quanti elettori veneti hanno votato a favore dell’autonomia in chiave indipendentista? Non a caso Zaia ora richiede per la sua regione lo statuto speciale. In Lombardia dove i clamori indipendentisti sono piu’ affievoliti , Milano ha risposto con poco interesse al Referendum, a partire dal suo sindaco. Si assiste ad una dicotomia città campagna non dissimile, con le debite proporzioni, a quella di Brexit.

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Rispondilorenzo toccolorenzo tocco 24 Ottobre 2017 - 10:10

Io invece penso che, all'interno del sovranismo (che è verso questa Europa e le sue regole vigenti) sia una buona notizia il ritorno dell'autonomismo. Per questo oggi anche Salvini sorride. Proviamo poi ad immaginare se il quorum non si fosse raggiunto in Veneto e in Lombardia la percentuale di votanti fosse stata del 20%: la colpa sarebbe stata senz'altro di Salvini (immagino già i titoli). Insomma è chiaro il pregiudizio nei confronti del leader della Lega, che già da un po' si cerca di contrapporre ai leghisti "buoni" Maroni e Zaia. Inoltre penso che non esista l'ipotesi di un appoggio esterno ad un ipotetico e sciagurato governo Forza Italia-PD (abbiamo già dato in tal senso). Lasciamo perdere una volta per tutte il modello francese (ci sarà un perché esiste solo in Francia): pure Macron comincia ad avere i suoi guai, e questo perché un partito del 20-30%, maggioranza con l'effetto-droga del doppio turno, non può a lungo governare in modo efficace contro il resto degli elettori

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Rispondimauro 24 Ottobre 2017 - 09:09

E' sempre stato evidente: con governi deboli, come quelli nostri postfascisti, il sistema delle autonomie regionali, al di là delle belle parole, oltre a svelare ancor più i difetti della democrazia spicciola, aggiunge danno al danno. La prova ne è il graduale declino dopo l'estensione del sistema, ancorchè dovuto anche ad altri fattori. Degli statuti speciali, poi, non parliamo, pur tenendo conto delle ragioni originali, sono anacronistiche e ingiuste e giustificherebbero, senza paragone con i catalani, richieste d'indipendenza. Quanto al successo dei referendum in antitesi al "salvinismo" ho i miei dubbi: che i votanti che non vogliono pagare per l'indolenza dei terroni vogliano affettuosamente abbracciare i negroni, che dei terroni hanno la stessa propensione per l'assistenzialismo, mi sembra improbabile.

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