Con una legge del 1977 del governo Andreotti III in omaggio al Pci che sosteneva quel governo

Il 4 novembre è stato declassato. È l'unica guerra fra pari che è stata vinta dall'Italia

 di Domenico Cacopardo 4.11.2017 da www.italiaoggi.it

Oggi è il 4 novembre, sino a qualche anno fa festa nazionale dedicata alle Forze Armate. Una data, questa, stabilita nel ricordo della fine della Prima guerra mondiale, vinta dal Regno d'Italia. A dire il vero l'armistizio era stato firmato il 3 novembre 1918, alle 15.20 a Villa Vettor Giusti del Giardino (Padova) e le ostilità sarebbero dovute cessare ventiquattr'ore dopo. Ma, dopo la firma del documento, il generale austriaco Weber informò il comando italiano che le truppe imperiali avevano ricevuto l'ordine di cessare i combattimenti. Perciò, propose la fine immediata delle ostilità. Il generale Pietro Badoglio, capo della delegazione italiana, respinse, peraltro, la richiesta e, quindi, le operazioni belliche terminarono il giorno dopo.

Questa breve introduzione è utile a ricordare che, per 57 anni, il 4 novembre, nel chiudere il periodo feriale d'autunno, è stato celebrato, oltre che con cerimonie militari, con l'apertura delle caserme al pubblico. In questo modo, mentre i parenti dei soldati potevano pranzare con i congiunti, gli altri fraternizzavano visitando impianti e mezzi bellici, compresi aerei e carri armati.

La festa della Vittoria è stata celebrata sino al 4 novembre 1976. Dopo, con legge 5 marzo 1977, n. 54 (governo Andreotti III detto della «non-sfiducia», in quanto sostenuto dall'astensione del Pci), è stata abolita (con Epifania, reintrodotta, san Giuseppe e Corpus Domini). Un'«offa» conferita all'anti-atlantismo del Pci, collegata, impropriamente, al taglio delle festività religiose, in Italia più numerose che ovunque. Se oggi ha un senso cogliere l'occasione (la trasformazione della festa delle Forze Armate in Giornata delle stesse), esso si trova non tanto nel ricordo delle nostre virtù militari, invero limitate, discusse e discutibili (anche ai nostri giorni), quanto nella necessità, prima di tutto morale, di rammentare a noi stessi che la Prima guerra mondiale, l'unica guerra tra pari vinta dal nostro Paese, fu una guerra di popolo, nella quale i sentimenti delle varie categorie sociali si fusero, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, dandoci la forza di resistere sul Piave (da dove, dopo una breve apparizione, furono ritirate le truppe francesi e dell'Impero britannico) e, quindi, anche per il collasso generale dello schieramento avverso, lanciare l'offensiva e a Vittorio Veneto vincere.

Da quel momento, tornò a prevalere il conflitto interno. Si dimostrò la fragilità dell'ordinamento costituzionale derivante dallo Statuto albertino, e l'inconsistenza di una classe dirigente liberale che aveva perso ogni legittimazione a seguito dell'emergere dei cosiddetti «profitti di guerra» e la crisi occupazionale ed economica successiva alla fine delle ostilità. Il mondo del lavoro, capeggiato da socialisti radicali e dai sindacati, cercò di riproporre agli italiani il modello della rivoluzione bolscevica. Altri, fra cui tanti reduci, risposero rivendicando i valori della Patria e della vittoria mutilata.

Fu il fascismo e tre nuove guerre (Abissinia, Spagna e Seconda mondiale). Storia recente.

Ricordando il passato e la Vittoria, oggi rendiamo omaggio a un milione e 240 mila (651 mila militari, 589 mila civili) italiani, che pagarono, per noi, il prezzo della grande tragedia.

www.cacopardo.it

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