È proprio il caso di affermarlo: fin che c'è don Matteo c'è speranza

Ma il format e il messaggio pedagogico e morale, sono sempre quelli. Gli interpreti importanti sono quasi tutti gli stessi

 di Gianfranco Morra 13.1.2018 www.italiaoggi.it

«Guarda, nano, questo attimo! Ogni cosa che accade deve essere già accaduta. E questo lento ragno che striscia nel chiaro di luna, e questo stesso chiaro di luna, e io e tu sotto la porta che sussurriamo cose eterne, non dobbiamo tutti essere già esistiti ed eternamente ritornare?». È lo Zarathustra di Nietzsche. Ma anche la Rai-tv, da sempre votata all'eterno ritorno dell'identico.

Col quale l'altra sera ha riempito il teleschermo: ancora e sempre Don Matteo. Nato nel 2000, i suoi 246 episodi, trasmessi in tutto il mondo, hanno tenuto banco per 11 serie, sempre con un'audience favolosa: sette milioni di telespettatori. Questo nuovo anno ha fatto 12 serie ed è ritornato sul video (con quasi otto milioni di spettatori), nonostante il giovanile e dinamico Terence Hill abbia raggiunto i 79 anni: 26 episodi, girati non più a Gubbio, ma a Spoleto. E con una novità rilevante: il capitano è diventato una capitana.

Ma il format e il messaggio pedagogico e morale, sono sempre quelli. Gli interpreti importanti sono quasi tutti gli stessi. Il protagonista, non è il prete tradizionale, ma neppure uno modernista. Diverso e popolare, porta la parrocchia sulla strada, ma in tutto è fedele e rispettoso della tradizione. Anche nel look; nessun clergymen, ma una tonaca lisa e consunta, che sfida le cadute da quella bicicletta nera anni '50 che è il suo normale mezzo di trasporto.

Don Matteo è un «detective al servizio di Dio», risolve enigmi polizieschi, ma solo per potere, alla fine di ogni episodio, fare una catechesi tradizionale, sempre ispirata al «papa Buono» (Giovanni XXIII) e ora al «papa Buonista» (Francesco I). Le storie seguono uno schema unico: c'è un omicidio e un sospettato finisce in galera. Don Matteo sa che è innocente e riesce a mostrarlo: prima lui, poi i carabinieri scoprono il vero colpevole, che ammette la sua colpa e in tal modo si apre al pentimento e al riscatto. Certo finirà in prigione, ma solo per scontare il male fatto e redimersi.

Questa ossatura immutabile degli episodi si arricchisce e diviene filmicamente gradevole per la presenza di attori caratteristi, come la perpetua Natalina e il sagrestano Pippo, e ancor più il maresciallo (Nino Frassica), grande comico anche se un tantino greve e ripetitivo. Il successo di Don Matteo è giustificato dalla qualità filmica della serie. Ma anche dai valori, semplici e autentici che trasmette.

La sua evidente e anche ossessiva ripetitività viene vissuta dai telespettatori come il ritrovamento di un mondo noto e gradevole, dove trionfavano onestà e buon senso. Che, coi tempi che corrono, non è davvero poco. Soprattutto oggi, nel bailamme demenziale e vacuo della campagna elettorale, nella quale la presunzione si congiunge con la volgarità. Sarà di certo un serial familista e anche un po' banale, ma meglio peccare di sentimentalismo che di sesso e violenza. È dunque naturale che i telespettatori ne abbiano salutato con entusiasmo la dodicesima epifania: fin che c'è Don Matteo, c'è speranza.

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