I grillini non sono più brutti e cattivi

Curioso come un ampio ventaglio di opinionisti, radical chic, sinistri vari, più un'accozzaglia di esponenti di quelli che si usa definire poteri forti, mutino parere sui Cinquestelle.

di Marco Bertoncini 1\12.3.2018 www.italioggi.it

Curioso come un ampio ventaglio di opinionisti, radical chic, sinistri vari, più un'accozzaglia di esponenti di quelli che si usa definire poteri forti, mutino parere sui Cinquestelle. Nel 2013 si udì un coro di suppliche ai grillini affinché concedessero un benevolo via libera al mitizzato governo del cambiamento, cavallo di battaglia di Pier Luigi Bersani. Lo stesso Bersani, indipendentemente dal disastroso incontro con i capigruppo pro tempore del M5s, impose quali presidenti delle Camere due personaggi tanto digiuni di esperienza parlamentare quanto (a suo giudizio) benvisti proprio dai pentastellati.

Per parecchio si andò avanti con un'offensiva mediatica nei confronti degli eletti a cinque stelle più schierati a sinistra. Costoro finirono presto nel dimenticatoio, una volta assodata la loro inutilità per un esecutivo Pd-Sel. In compenso, nello scorrere della legislatura i pentastellati furono sempre più spesso bollati, dagli stessi precedenti sostenitori, come (para)fascisti o almeno destrorsi. Infastidì molto la contrarietà allo Ius soli.

Da qualche giorno è avviata la metamorfosi. Luigi Di Maio è diventato uno statista. Il M5s si è tramutato in un partito moderato e di sinistra. Il coro quest'anno è composto di chi spinge il Pd ad accordarsi con la formazione che più delle altre ne ha assorbito i voti. I cinque stelle rappresentano «i proletari» (il sociologo filo grillino Domenico De Masi ha ripescato la desueta espressione): dunque sono più che una costola della sinistra, come a suo tempo fu battezzata la Lega bossiana. La presidenza della Confindustria si è con prontezza adeguata: filo governativa prima che nasca il governo. Come ammoniva Malaparte, l'Italia «alla vittoria guidò il vincitore».

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