Il Pd si prepari al voto: può rinascere o morire

I dem hanno tempo per radunare il campo chiamando a raccolta tutto ciò che si è perso. Ma l’appello deve arrivare da personalità fuori dai giochi, non da capi partito bolliti. Altrimenti se la saranno cercata.

PEPPINO CALDAROLA, 4,5.2018 www.lettera43.it

Cari militanti Pd, ribellatevi

Non so se quella nel Partito democratico è tregua o qualcosa di più. Alcune scelte sono state impegnative, soprattutto quella di rifiutarsi di trattare partecipazioni a governi con i cinque stelle o con la destra. Nessuno ha obiettato alcunché contro la partecipazione - o più probabilmente il voto favorevole - al governo del presidente che sta diventando l’ultima spiaggia prima del ritorno alle urne.

LA SCISSIONE NON FUNZIONERÀ. Nel Pd si sono rinsaviti? Hanno deciso che la lite continua porta alla rovina comune? È più probabile che abbiano capito che l’arma della scissione non è impugnabile da alcune delle parti. Matteo Renzi non può fare il Macron, al massimo rifonderebbe una “Margheritina”, la sinistra e gli anti-renziani farebbero un partito ancora più “sminchiato” di Liberi e uguali, partito smarrito la cui ricerca sta impegnando lo staff di Federica Sciarelli.

BASE STRANAMENTE SILENZIOSA. Stare assieme, con Maurizio Martina in cucina, era la scelta obbligata anche perché - è un pensiero totalmente personale - la base del Pd è stranamente silenziosa malgrado i traumi che ha subito e non è improbabile che possa reagire d’improvviso a una chiamata alle armi. Questa soluzione è resa difficile dal fatto che non c’è nel Pd o attorno a esso chi lo ami, e ami la sinistra, al punto da rischiare con “l’insurrezione” anche una tranquilla carriera politica.

Di solito i partiti reagiscono ai segni del declino con radicali cambi di leadership o con la partecipazione massiccia dei militanti o con tutte e due le cose. Qui, invece, si stanno distribuendo tazze di brodino caldo per sedare i dolori delle sconfitte.

UNA PARTE INCOLPA L'ALTRA. Questo è l’unico limite strategico dell’accordo del 3 maggio, che è fondato sul silenzio, sull’accantonamento di una sconfitta senza precedenti, con l’una parte che pensa che sia colpa di Renzi mentre Renzi pensa che sia colpa della litigiosità della minoranza e del popolo coglione che non ha capito le sue riforme.

RENZI VUOLE RINFACCIARCELA. Il governo del presidente oltre che degli affari economici potrebbe occuparsi di legge elettorale. Renzi spera e immagina che potrebbe occuparsi anche di riforme istituzionali così da far capire al Paese che lì si è inceppata l’Italia, da lì si deve partire e che quindi aveva ragione lui.

Se non c’è un governo non è colpa della legge elettorale, ma della politica che vede in campo forze che non possono dialogare e leader un po’ pirla

Non do consigli a Sergio Mattarella. Figuriamoci. Ma il suo governo dovrebbe fare ordinaria amministrazione e provvedimenti esemplari sulla questione sociale. Lascerei perdere legge elettorale e riforme istituzionali. Persino la legge elettorale può restare correggendo solo la parte che vede i parlamentare prevalentemente nominati. Un pizzico di maggioritario non risolverebbe la crisi politica. Se non c’è un governo non è colpa della legge, ma della politica che vede in campo forze che non possono dialogare e leader un po’ pirla.

VOLTI FUORI DALLE NOMENKLATURE. Se questo sarà lo sbocco della crisi attuale e se le nuove elezioni saranno vicine, il Pd ha il tempo per radunare il campo chiamando a raccolta tutto ciò che si è perso nel tempo. Se l’appello venisse fuori da personalità fuori dai giochi e non presenti nelle nomenklature, passate e presenti, il successo potrebbe essere probabile. Se l’appello è di capi partito che le hanno sbagliate tutte, lasciamo perdere. Ve la sarete cercata, la definitiva sconfitta.

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