La Corte costituzionale vietando il ballottaggio ha complicato la vita alla politica e all'Italia

Non si capisce come mai la possibilità del ballottaggio sia considerata possibile e conveniente nelle elezioni degli enti locali mentre sia improponibile in quelle politiche

di Pierluigi Magnaschi, 8.5.2018 www.italiaoggi.it

Se la Corte costituzionale non avesse dichiarato illegittimo il ricorso al ballottaggio nelle elezioni politiche, oggi l'Italia non avrebbe perso 65 giorni (senza contare quelli che si perderanno, compresa l'ipotesi, estrema, ma che non si può escludere, di elezioni anticipate). Visto che dal diritto (anche, e soprattutto, al massimo livello), se adeguatamente strizzato, si può derivare, in Italia, qualsiasi decisione, non entrerò nel merito delle giustificazioni giuridiche di questa sentenza. Essa però deve essere valutata nelle sue conseguenze politiche, cioè valide per tutti e non certo solo per i singoli partiti.

La prima considerazione da fare è che non si capisce come mai la possibilità del ballottaggio sia considerata possibile e conveniente nelle elezioni degli enti locali mentre sia improponibile in quelle politiche. Oltretutto, proprio l'esperienza maturata a livello degli enti locali, ha dimostrato che il ballottaggio funziona perché produce risultati chiari e una governabilità duratura che, in un paese di estemporanei com'è l'Italia, è sicuramente un obiettivo primario.

La seconda considerazione può essere fatta tenendo conto del modo deleterio in cui sta evolvendo il dopo elezioni del 4 marzo, con un mondo politico che è impegolato in risultati elettorali che generano, in assenza di un ballottaggio, la paralisi. Visti i risultati elettorali, l'incapacità di fare un governo che abbia speranza di durare è un dato evidente, strutturale e ineliminabile. Per uscire da questa nassa nella quale si sono intrappolati i partiti e l'intero paese, al presidente della repubblica, in assenza della possibilità di ricorrere al ballottaggio, restano a disposizione solo delle scelte che, in un modo o nell'altro, vanno oltre l'indicazione elettorale. E che quindi falsano, anche se in tutta buona fede, il risultato prodotto dalle urne.

Se si potesse usare il ballottaggio invece, primo, non si sarebbero persi tutti questi 65 giorni per pestare l'acqua nel mortaio e per seminare nel paese la sensazione che i partiti non sanno fare il loro mestiere e che quindi è giusto che siano castigati dal furore popolare più di quanto non sia già stato fatto in passato. E, secondo, col ballottaggio, nel giro di due settimane dopo il primo turno, si sarebbe messo fine allo scontro elettorale e, dalle urne, sarebbe saltato fuori, in modo chiaro e ineludibile, chi era legittimato, dal popolo, a esercitare il potere di governare il paese.

Questa decisione su chi abbia il diritto di governarci, laddove si può ricorrere al ballottaggio, sarebbe espressa dagli elettori stessi, nella chiarezza delle urne e non dai notabili (come sta avvenendo) nelle trattative riservate, nei salotti per pochi, dando magari (la cosa è tecnicamente possibile, come ben spiega Cesare Maffi in questo stesso numero di ItaliaOggi) l'incarico di premier anche a un notabile o a un tecnico che non è stato votato da nessuno e che salta fuori dal bussolotto del presidente della repubblica. Un bussolotto legittimo, intendiamoci, ma politicamente imbarazzante, specie in questi tempi.

In Francia, dove il ballottaggio è utilizzabile anche nelle elezioni presidenziali, si è consentito ai francesi il diritto di esprimere, attraverso la doppia consultazione, una scelta limpida ed efficace. Al primo turno infatti Emmanuel Macron, centro (che poi, con il ballottaggio, è diventato presidente della repubblica francese), aveva preso solo il 23% dei voti . Marine Le Pen, estrema destra, lo seguiva a ruota con il 21,3%. Jean-Luc Mèlanchon, estrema sinistra, aveva preso il 19,30% e François Fillon, destra, aveva conseguito il 20%. La legge elettorale francese prevede che, se nessun candidato raggiunge, al primo turno, il 50% dei voti, allora le elezioni vengono ripetute ma, in questo caso, esse avvengono fra due soli concorrenti, quelli cioè che hanno preso più voti nel primo turno.

Anche nell'ultima elezione presidenziale francese si è ripetuto, in maniera limpida, ciò che era successo nelle elezioni nelle quali era stato eletto Jacques Chirac e dove i più votati, al primo turno, erano stati Chirac, primo, e Le Pen padre, secondo. Al ballottaggio vinse Chirac perché i socialisti (che pure erano sempre stati gli avversari accaniti di Chirac) decisero, per non correre il rischio di vedere Jean Marie Le Pen all'Eliseo, di orientare il loro voto su Chirac fecendolo così eleggere a capo dello stato francese.

Con Macron è avvenuta la stessa cosa. Pur di non vedere la Le Pen diventare presidente della repubblica, i voti di François Fillon (destra), una parte di quelli dati ai socialisti, più quelli di molti non votanti, si sono orientati su Macron facendogli superare abbondantemente la soglia del 50% e assicurandogli una forza parlamentare, in grado di mettersi subito al lavoro.

Naturalmente in Italia (non ci lasciamo mai mancare nulla, in fatto di complicazione) anche se fosse possibile adottare questo metodo elettorale ci sarebbe un'aggravante. Essa risiede nel fatto che il sistema di elezioni della Camera e del Senato sono diversi, per cui, anche con il ballottaggio, si potrebbe arrivare a risultati divergenti fra la Camera e il Senato. La riforma costituzionale di Renzi, bocciata dagli elettori, avrebbe tolto, con un Senato dotato di altre funzioni, questo ostacolo. Speriamo che la prossima riforma, se mai sarà fatta, abolisca semplicemente il Senato. Basterebbe un solo articolo. Ma è proprio questa la difficoltà nel paese degli Azzeccagarbugli, masterizzati nel diritto di complicare le cose semplici.

Pierluigi Magnaschi

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