La rivoluzione può attendere: il governo Salvini - Di Maio è un teatrino da Prima Repubblica

La legislatura del grande cambiamento parte con un infinito rituale da prima repubblica. Il gioco dei nomi, il gioco dei programmi, l’intervento di Mattarella. E intanto le cose da fare incombono, e il Paese è stanco

di Flavia Perina 14 Maggio 2018 – www.linkiesta.it

Anche oggi il nome del premier lo diciamo domani: si potrebbe chiosare così il risultato del quarto e quinto incontro formale fra le delegazioni di Cinque Stelle e Lega sulla costruzione di una maggioranza. Due summit a Roma, tre a Milano. Cinque giorni di discussione, un infinito vertice notturno. Sembrerebbero abbastanza per indicare, se non il famoso “contratto” nei dettagli, almeno il nome del premier, ma non sono stati sufficienti. Ed è inutile giustificarsi dicendo che anche in Germania la costruzione del patto fra popolari e Spd ha richiesto una lunghissima mediazione: lì il nome del Cancelliere designato, Angela Merkel, era chiaro fin dall'inizio e senza ambiguità (ed era lei a condurre le trattative sul programma).

Bisogna però avere una certa comprensione. L'alleanza del Grande Cambiamento si trova per la prima volta alle prese con un problema che la perseguiterà a lungo (sempre che riesca a concretizzarsi): quello di dover rinnegare la narrazione sulla base della quale ha chiesto i voti. La necessità di un premier terzo – visto che Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno preteso l'uno dall'altro un passo indietro – obbliga a disconoscere almeno un quinquennio di anatemi contro i Presidenti del Consiglio “piovuti dall'alto”, giacchè è chiaro a tutti che chiunque sia il prescelto sarà un nome emerso da un compromesso politico e non da una scelta popolare. Se sarà un politico, come sembra, non sarà uno dei due che si sono candidati al ruolo. Se sarà un professore, un diplomatico, un tecnico, ancora peggio poiché si dovrà ammettere che, talvolta, le democrazie hanno bisogno di rivolgersi a civil servant, e non c'è niente di male nel farlo.

La trattativa, comunque si concluda, è destinata a infrangere anche altre narrazioni dei nuovi leader. Il disprezzo ostentato per i riti bizantini della vecchia politica, che invece sono stati riproposti pari pari dalle immagini dei summit al Pirellone: il tavolo ovale di soli uomini, le riunioni di poche ore interrotte da rinvio

Come spiegare all'elettorato che le polemiche su «Paolo Gentiloni quarto premier non eletto dal popolo» - animate da Di Maio e Salvini con analoga energia – erano poco fondate, in quanto ne arriverà probabilmente un quinto? Come rinnegare il tormentone sull'elusione del voto popolare che ha accompagnato la nomina di Matteo Renzi, e prima di lui di Enrico Letta, e prima di lui di Mario Monti? Fra le molte difficoltà che si profilano all'intesa, questa non è tra le minori perché se sarà facile diluire nel tempo le promesse materiali – reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della Fornero, rimpatrio in massa dei clandestini – risulterà più complicato giustificare la delega della premiership a una personalità mai entrata in campo apertamente con questa aspirazione.

La trattativa, comunque si concluda, è destinata a infrangere anche altre narrazioni dei nuovi leader. Il disprezzo ostentato per i riti bizantini della vecchia politica, che invece sono stati riproposti pari pari dalle immagini dei summit al Pirellone: il tavolo ovale di soli uomini, le riunioni di poche ore interrotte da rinvio, il copione ottimistico recitato coi giornalisti - “Siamo pronti” - quando è chiaro che problemi ci sono. La celebrata trasparenza, che si infrange nei vertici segreti dal commercialista-deputato Stefano Buffagni. L'idea che basti il voto a fare la rivoluzione mentre, come è evidente in queste ore, serve molto altro.

Insomma, queste giornate dovrebbero comportare un bagno di umiltà per tutti i protagonisti della trattativa, e c'è da augurarsi che a lezione sia metabolizzata in fretta perché abbiamo già visto altri enfant prodige del Grande Cambiamento venire rapidamente rottamati dall'opinione pubblica proprio per l'incapacità di rinunciare alla narrazione che gli aveva dato successo. Il Paese è molto stanco, ha bisogno di elementi di speranza e concretezza, prima arrivano segnali e meglio è.

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