Oggi un vero snodo per il Pd

Serve chi vuole lottare contro la dilagante demagogia

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

Un partito senza guida. O ritorna in sella Renzi, oppure le redini vanno affidate a Calenda

Oggi si riunisce l'attesa Assemblea nazionale del Partito democratico, già rinviata per attendere il decorso della crisi. Una volta, nel Pci e nel Psi, quest'organo (una specie di parlamentino interno) si chiamava Comitato centrale ed era un luogo di reale discussione e decisione. Poi, Bettino Craxi spazzò via l'istituto e le modalità congressuali d'elezione e nominò un'ampia Assemblea nazionale. Innovazione poi, per li rami, giunta al Pd.

L'evento si svolge dopo gli incredibili sbandamenti e incertezze del «gerente provvisorio» Maurizio Martina, colposamente tentato di aprire un confronto programmatico con il movimento a vocazione totalitaria denominato 5Stelle. Come hanno mostrato le settimane successive all'esplorazione (ridicola) del presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, non ci può essere alcun punto di contatto tra una forza democratica e questa gente. Anche se una parte dell'elettorato che l'ha votata proviene dalla cosiddetta sinistra. Una sinistra la cui natura conservatrice e, spesso, reazionaria è rappresentata da mille episodi. Da messinese, ne voglio ricordare solo uno: lo sciopero della fame e l'occupazione delle aree interessate per impedire l'avvio della costruzione del Ponte sullo Stretto, un'opera che avrebbe occupato per cinque anni migliaia di lavoratori in una zona depressa e senza speranze.

Questo pezzo di vocazione è stato cinicamente raccolto dal kombinat Grillo&Casaleggio trasformandolo in voti utili per la costruzione di un partito aideologico (e cioè zeppo di proposizioni contraddittorie) nel quale si possono tentativamente rappresentare destra, centro e sinistra, purché simpatizzanti e aderenti appartengano alla vasta area della scontentezza cieca e rancorosa. È questo il punto che, insieme a un'organizzazione autoritaria, priva cioè di dialettica democratica garantita, definisce la natura totalitaria del partito. E, ora che i suoi uomini andranno al potere, insieme ai «barbari» della Lega (al di sotto dei quali, però, ci sono fior di amministratori locali), verrà la stagione della crocifissione degli avversari interni ed esterni, mediante la ben nota criminalizzazione e l'attribuzione di ogni responsabilità, anche la meno credibile e gratuita. Un avvento (questo penta leghista) che rivaluta l'uomo nero Silvio Berlusconi e il suo partito padronale che, tutto sommato, non ha mai posto seriamente in discussione le ragioni fondanti della Repubblica.

Perciò, l'appuntamento romano del Pd non può risolversi nell'ennesima conclusione a tarallucci e vino. La sfida lanciata alla Repubblica, alla Costituzione e agli italiani che credono nei valori di libertà, siano di destra, di centro o di sinistra, deve essere raccolta. Non basta, tuttavia, dichiararlo. Occorre lavorarci, ricostruire, meglio costruire un partito diverso che trovi nuovi canali di comunicazione tra dirigenza e base, nuove occasioni di mobilitazione, nuovi argomenti di identità. E che effettui una dura e spietata epurazione di tutti coloro che, privi di criterio, non si sono resi conto e non si rendono conto ancora che ciò che è in gioco è il futuro degli italiani, soprattutto delle nuove generazioni.

La forza trainante di una eventuale proposta rivolta ai giovani e al loro futuro che privilegi il merito, la progettualità e la formazione professionale sarebbe certa. Ciò che non è certa è la capacità del gruppo dirigente attuale, figlio di un compromesso tra Renzi e gli ultimi gerarchi di un passato che non tornerà, di lasciarsi dietro e abbandonare tutti quelli che sin qui, in un modo o nell'altro hanno boicottato un progetto riformista che non apparteneva loro, alla loro formazione, alla loro storia. Faccio un solo nome, quello di Michele Emiliano, l'uomo che ha assecondato tutte le peggiori iniziative populiste e qualunquiste sorte nella sua regione, dall'opposizione al taglio degli ulivi colpiti dalla Xylella, al rigassificatore di Brindisi, alla Tap, a un futuro per l'Ilva. Certo, ci saranno mille giustificazioni a queste posizioni: ma rimane la realtà di un dirigente politico che flirta con gli avversari del suo partito e asseconda ogni iniziativa avversaria.

Quindi, se Matteo Renzi aprirà l'Assemblea con un discorso da segretario dimissionario (non uscente), e affronterà tutti i temi caldi, quelli su cui sin qui si è ricorsi al compromesso, riprendendo in mano l'iniziativa riformista, è possibile che si realizzi quella svolta che restituirebbe (o darebbe per la prima volta) al Pd il piglio di primo difensore dell'Italia repubblicana, internazionalista e protagonista dello scenario europeo. Il suo logoramento (di Renzi, intendo), tuttavia, si definisce bene ricorrendo a un'espressione americana: «Damn if I do, damn if I don't» (dannato se faccio, dannato se non faccio).

Altrimenti, Carlo Calenda, l'unica voce nuova e innovativa rimasta in campo, scenda nell'arena e provi a prendere in mano la costruzione di un'area politico-elettorale d'opinione «macronista», cioè liberal-democratica Mentre un presidente della Repubblica timido e indeciso ha permesso che Di Maio e Salvini lo espropriassero dei suoi poteri, per decidere il futuro del Paese, compresa la rottura di trattati e l'elusione degli impegni legittimamente assunti, occorre che qualcuno in Parlamento e nel Paese alzi la bandiera dei diritti democratici, della verità e della lotta alla dilagante demagogia.

Attenzione: illudersi di poter ricostruire un partito di massa porterebbe i dirigenti del Pd al naufragio. Nuovi strumenti nuovi metodi nuove proposte ancorate al discrimine Europa e alla necessità di tutelare e promuovere la rinascita produttiva (competitività e produttività). E, magari con l'aiuto di qualcuno che ne capisca, si operi un'analisi rigorosa della produzione legislativa dei governi 2014-2018 individuandone le debolezze e le responsabilità, che ci sono e gravi. Chi ha sbagliato e ha prodotto leggi controproducenti e paralizzanti, non può essere parte di un progetto nuovo. Perciò, bando alle timidezze con fiducia nelle proprie forze e volontà di tagliare il passo all'incipiente barbarie istituzionale e civile.

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