Se dovessero diventare leggi molte delle proposte economiche che ha fatto in questi giorni

M5s può far saltare il sistema. L'aumento della produttività serve anche per i poveri

di Domenico Cacopardo, 30.6.2018 www.italiaoggi.it

Non è certo il caso di imbarcarsi su rinnovate definizioni di conservatori e di reazionari, tuttavia la distinzione, intuitiva e immediata, serve a comprendere meglio dove siamo e con chi siamo. Prima di tutto, intendo sgombrare il terreno da un'accusa e da un equivoco. Alcuni lettori mi accusano di puntare le mie considerazioni critiche sui 5Stelle e di non incidere su Salvini e sulla Lega. Per loro, quest'ultimo partito e il suo leader sono «più pericolosi» per la stabilità democratica dei grillini, confusamente ancorati a un potpurri di idee definibili (contesto, naturalmente) di sinistra. È doverosa una risposta: al di là del folclore propagandistico, rimane il fatto che la Lega è (in senso tecnico) un partito. Ha un tessuto territoriale, organi diffusi nel territorio, una classe dirigente temprata nel governo locale, laddove ha ottenuto risultati significativi. Al contrario, i 5Stelle sono un'impostura democratica fondata su un sistema di relazioni gestito e controllato dalla società privata e dalla fondazione di Davide Casaleggio (un sistema opaco tal quale non s'è mai visto, a parte il fascismo). La strada è il web. La garanzia (e s'è ben visto) dell'uno vale uno è zero.

E ora torniamo al giorno d'oggi. Il risultato del Consiglio d'Europa è l'ennesima aria fritta sulla quale tutti possono giurare di avere avuto successo e dalla quale l'Italia non trarrà alcun beneficio, a meno di realizzare qualcosa di nuovo, come una lega di nazioni dalla visione comune e dalla comune azione politica a Bruxelles e a Strasburgo. Il primo ministro Conte ha fatto quello che fa un buon avvocato: ha negoziato «dentro» l'ipotesi di partenza, rimettendo le istanze italiane a un futuro incerto, affidato all'Austria (presidente di turno dell'Unione). La linea dell'Austria non è assolutamente premiale per noi, visto che si fonda sulla restituzione dei migranti al paese di primo accesso. La durezza e la severità delle proposte di Vienna non lascia varchi alle nostre esigenze.

Ma è a Roma che si gioca la partita vera, quella che investe l'economia e il sociale. Essa è, purtroppo, nelle mani di chi non ha mai lavorato, né s'è mai informato (studiando) sui fondamenti del «Sistema Italia», quale s'è configurato dal 1946 a oggi. È qui che s'annida il germe letale di scelte reazionarie che ci allontanano dal mondo contemporaneo, dalle grandi democrazie (di cui ancora per poco facciamo parte), dalla costruzione di meccanismi di crescita efficienti, in cui è insito l'allargamento del benessere. Avevamo promesso di esaminare l'operato del governo senza pregiudizi e onoreremo l'impegno. Gli elementi di giudizio, peraltro, sono già sul tappeto e ne ricordiamo alcuni.

La controriforma della scuola con la sottrazione di responsabilità ai presidi. Avevamo iniziato a ragionare di una scuola per gli studenti non per i docenti, torniamo a favorire la corporazione a spese dell'insegnamento e del futuro della nazione.L'assenza di qualsiasi cultura della produttività. Un tema che un tempo il sindacato aveva colto e sul quale s'era impegnato insieme alle associazioni datoriali. Certo, si può capire che Luigi Di Maio non sappia cosa sia la produttività. E che, pertanto, la necessità di recuperarla dovrebbe essere prioritaria, anche ai fini della lotta alla povertà.

Su sofferenze bancarie e debito pubblico non c'è una parola né una politica. L'ex socialista Giovanni Tria, consulente di Gianni De Michelis e Renato Brunetta, sta tentando di porre un argine. Se ci riuscirà, sarà un coraggioso benemerito del Paese. È tuttavia improbabile che riesca a tenere duro.

Le delocalizzazioni. Di Maio gonfia il petto annunciando punizioni esemplari a chi delocalizza anche se ha ricevuto finanziamenti pubblici. Dovrebbe invece domandarsi perché un'impresa (il cui scopo è il profitto, un concetto etico da difendere a ogni costo) nonostante i benefici decida di andarsene (e chiedersi anche quale contesto politico istituzionale possa seriamente far restare in Italia).

I dazi. Qui casca l'asino. È dovuto intervenire il ministro dell'agricoltura Gian Marco Centinaio per ricordare che, non solo nella manifattura, ma anche nel suo settore siamo una Nazione che vive del successo delle sue esportazioni e non può correre il rischio di ritorsioni (a parte le regole del mercato comune).

En passant va ricordato il valore (numero di lavoratori, retribuzioni, contributi) dello staff leasing e di tutte le forme di lavoro flessibile in bianco, cioè dotato di oneri previdenziali e assicurativi.La normativa in vigore non è il frutto di scelte avventate o avventurose. È frutto di analisi e di idee di illustri economisti e giuristi del lavoro, una scuola di cui hanno fatto parte Ezio Tarantelli, Massimo D'Antona e Marco Biagi. Nessun nuovo ministro può ritenere che i predecessori siano stati degli imbecilli. Dai risultati conseguiti occorrerebbe partire per migliorare il sistema.

La confusione mentale o l'assenza di logica dimostrate dal governo in queste materie, sono quindi tipiche dei politici reazionari, incapaci di partire dai fatti (che è per loro difficile analizzare) e di immaginare politiche ragionevoli, coerenti alla necessità (da essi non conosciuta) di realizzare una politica di sviluppo economico, sociale e culturale. Certo, non è detto che lo sciocchezzaio qui riferito diventi legge. Anche perché, meritoriamente, Confindustria, Confcommercio e Confesercenti hanno messo le mani avanti.

www.cacopardo.it

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata