Perché i troll russi contro Mattarella sono la bufala dell’estate

Pochi profili coinvolti, nessun impatto sull’opinione pubblica: eppure sulla presunta tweetstorm contro Mattarella sta indagando persino l’antiterrorismo. Forse la vera domanda è chiedersi perché

di Stefano Epifani*7.8.2018 da www.linkiesta.it

Troll che imperversano ovunque minando la stabilità di intere nazioni. Troll che i più ritengono provenire dalle fredde steppe russe per destabilizzare Governi e favorire ora questa, ora quella fazione politica. Troll che seminano il panico nelle Istituzioni, scomodando addirittura la Polizia Postale, la Procura di Roma che si occupa di antiterrorismo, il Dis, il Copasir. Insomma: roba che neanche la Gladio dei tempi migliori. A leggere i giornali in questo periodo sembra di essere finiti in un libro di Tolkien o – se si vuole essere più pop – nella saga del maghetto occhialuto di J. K. Rowling.

La faccenda è orma nota ai più: nella notte tra il 27 ed il 28 Maggio, in concomitanza del no di Mattarella alla nomina di Paolo Savona al ministero dell'economia e finanze, su Twitter si attivano alcune centinaia di account che, al grido di #MattarellaDimettiti, attaccano il Presidente della Repubblica chiedendone le dimissioni. Account che sembrano esser parte di un’operazione concertata e proveniente da un’unica fonte. E qui nasce il problema: perché secondo gli inquirenti un conto è che quattrocento persone invochino le dimissioni del Presidente della Repubblica, altro conto è che a farlo siano altrettanti account generati in maniera fittizia da un “orchestratore” occulto. Orchestratore che in base ad alcune ricostruzioni potrebbe essere lo stesso di altre operazioni simili avvenute in Italia negli ultimi anni, e addirittura riconducibile alla stessa matrice che ha portato all’attivazione di una indagine negli Stati Uniti collegata all’ingerenza della Russia nell’elezione di Trump: ed ecco quindi consolidato il mito del Troll della Steppa (ma è più probabile che l’unico collegamento effettivo con gli Stati Uniti – ammesso che l’indagine USA approdi a qualcosa – sia quello derivante dal fatto che fa molto effetto poter sostenere l’intrigo internazionale: In fondo ci fa sentire importanti).

Di tutto questo, di quattrocento account che hanno generato alcune migliaia di messaggi letti da qualche decina di migliaia di persone (perché questi sono i numeri), da qualche giorno si fa un gran parlare: come se dalla questione dipendesse la stabilità delle nostre Istituzioni. Ma qual è l’impatto effettivo di questo attacco alle Istituzioni? Chi lo ha effettivamente orchestrato? Quali sono le conseguenze? E soprattutto: come è fatto un Troll russo?

L’ultima domanda è quella alla quale è più facile rispondere. I Troll, che siano russi, mantovani o di qualsiasi altra provenienza, abitano su Twitter, sono per lo più programmi automatici che aprono account fittizi, si seguono a vicenda per fare numero (ai troll piace vivere in branco) e, all’occorrenza, pubblicano messaggi con insulti, informazioni false, contenuti propagandistici. Inoltre, visto che non hanno molta inventiva (tutti i lettori di Tolkien sanno che i Troll non brillano per intelligenza) talvolta si limitano a rilanciare contenuti di altri (nello specifico della questione Mattarella, su 18.000 tweet ben 13.000 sono retweet). Per usufruire dei loro servizi non serve essere stregoni alla Gandalf: se necessario, si comprano un tanto al chilo (o al migliaio) scovandoli nelle trame del “deep web” (si: oltre Google e Facebook c’è altro su Internet). Insomma: acquistare account fittizi per crearsi il proprio esercito di Troll non è troppo diverso né molto più complicato di acquistare follower falsi su Instagram, come fanno torme di adolescenti e meno adolescenti con ambizioni da influencer (qualsiasi cosa siano gli influencer).

Rispondere alle altre tre domande, in effetti, è un po’ più complesso. SI pongono infatti un tema di metodo ed uno di merito.

Se l’impatto di quella che in termini tecnici viene definita “tweetstorm” (tempesta di tweet) fosse stato limitato agli utenti che ne sono venuti a conoscenza nella notte tra il 27 ed il 28 maggio il fenomeno non avrebbe superato le pagine di qualche rivista di settore. Più una pioggerellina che uno tsunami

Nel metodo: chi ha orchestrato l’azione? Al netto di errori clamorosi (e si fanno, spesso si fanno), sarà difficile risalire alla fonte dell’azione di disturbo. Che sia proveniente da un Governo estero o da un buontempone indigeno, in rete sapendolo fare è possibile nascondersi. Il fatto che l’azione sia partita dalla Russia non vuol dire che sia stata organizzata da Putin o da chissà quale stratega del Cremlino. Sempre per tornare agli account Instagram, per pochi euro si possono comprare migliaia di follower russi, indani, brasiliani. Il discorso in questo caso è un po’ diverso, ma non di molto.

Che impatti può avere un’azione del genere in termini concreti, sulle persone comuni? Per rispondere serve guardare alla natura dello strumento utilizzato: Twitter. Il social media ormai da anni – per parlare di cinguettii – vanta una vitalità pari a quella di una quaglia con la raucedine ed un numero di utenti, se rapportato a quello degli altri social network site, da bocciofila di paese. I giovani sono altrove, le persone comuni sono altrove, le conversazioni sono altrove. Con una grande eccezione: quella dei politici e dei giornalisti. Il motivo principale per il quale l’azione dei fantomatici Troll d’importazione ha avuto un’eco così forte è dato dal fatto che tra i pochi utenti attivi del social network ci sono proprio quegli utenti che hanno conferito all’azione di disturbo un peso tale da farla diventare un fenomeno mainstream: i giornalisti che ne hanno parlato sui giornali e su Nostra Signora La Televisione ed i politici che gli hanno dato un rilievo istituzionale.

Nel merito: quattrocento utenti finti su Twitter possono davvero influenzare l’opinione pubblica retwittandosi a vicenda? Se così fosse sarebbe sin troppo facile vincere le elezioni a colpi di tweet, ma qualsiasi esperto sa bene che Internet non fa vincere le elezioni, semmai aiuta a perderle. Se l’impatto di quella che in termini tecnici viene definita “tweetstorm” (tempesta di tweet) fosse stato limitato agli utenti che ne sono venuti a conoscenza nella notte tra il 27 ed il 28 maggio il fenomeno non avrebbe superato le pagine di qualche rivista di settore. Più una pioggerellina che uno tsunami.

Insomma: la Profezia che si autoadempie trova nel cortocircuito tra giornali, istituzioni e politica generato dal social network cinguettante il miglior terreno di coltura che si potesse immaginare, trasformando un fenomeno di nicchia in un fenomeno di massa o, se si preferisce, in un’arma di distrazione di massa ottima per spostare l’attenzione dai veri problemi del Paese. Se questo evento diventa così centrale nell’agenda politica da meritare fiumi di parole sui giornali ed in TV l’impressione che lo si stia utilizzando per non parlare di cose più serie è forte.

Se a questo si aggiunge che tutto ciò avviene mentre il Governo cerca di costruire legami più forti con la Russia quando altre istituzioni prendono implicitamente le distanze da questa linea scomodando addirittura l’antiterrorismo per indagare su un fatto rispetto al quale il coinvolgimento della Russia è tutto da dimostrare il dubbio che la questione sia più di politica interna che di intelligence e di politica estera viene. A latere dei sospetti, la domanda è sempre la stessa: se ci sia più da preoccuparsi degli impatti dei troll russi, o di Istituzioni che, incapaci di vedere che il mondo è cambiato, si preoccupano coì tanto dei troll russi.

*Presidente del Digital Transformation Institute

@stefanoepifani

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