VESPA, TURANI, SALLUSTI: TRE EDITORIALI L'ITALIA È A TANTO COSÌ DALLA TURCHIA –

I SOVRANISTI NON POSSONO FERMARE IL CONTAGIO DEI FENOMENI GLOBALI''

11.8.20\8

BRU-NEO: ''LA GLOBALIZZAZIONE TOGLIE SOVRANITÀ. SE SCHIZZA LO SPREAD BUTTIAMO MILIARDI E IL GOVERNO È COSTRETTO A DIMETTERSI'' - PEPPINO: ''ESSERE PADRONI ASSOLUTI, COME ERDOGAN, NON BASTA PER MIGLIORARE L'ECONOMIA. ANZI...'' - MORTIMER: ''IN TEORIA NON C'ENTRIAMO CON TURCHIA E DAZI ALLA CINA, EPPURE LA BORSA CROLLA. I SOVRANISTI NON POSSONO FERMARE IL CONTAGIO DEI FENOMENI GLOBALI''

1. L' INGANNO SOVRANISTA

Alessandro Sallusti per il ''Giornale''

Si dice che stiamo andando verso un sistema sovranista, anzi che già abbiamo un governo sovranista. «Padroni in casa nostra», «Prima gli italiani», «Dell' Europa me ne frego» sono alcuni degli slogan che hanno fatto la fortuna della Lega e dei Cinquestelle. E dire che abbiamo fatto tanto, anche delle guerre, per cacciare i sovrani e sostituire le monarchie con le repubbliche unite tra di loro attraverso istituzioni politiche ed economiche sovrannazionali.

Ora qualcuno vuole tornare indietro, ne ha facoltà e per certi versi la cosa affascina anche noi. Del resto chi non vorrebbe essere «padrone a casa propria». Ma la domanda, mi rendo conto un po' noiosa in questo torrido agosto, che dovremmo porci è la seguente: padroni di che cosa?

«Di tutto», sarebbe la risposta più ovvia e diretta. Ma è questa una risposta ottocentesca, buona per gli allocchi in campagna elettorale. Pensateci. Ieri è successa una certa cosa in Turchia e nel giro di pochi secondi la nostra economia e le nostre finanze sono crollate. Cosa c' entriamo noi con la Turchia - che non fa neppure parte dell' Europa - piuttosto che con i dazi che Trump mette alla Cina? Apparentemente nulla, ma in realtà molto e l' essere «padroni in casa nostra» non ci ha messo al riparo da danni enormi, né mai potrà farlo.

Le banche italiane sono sovrannazionali, non per l' azionariato ma perché hanno nei loro bilanci beni (azioni e titoli) sovrannazionali. Le nostre aziende più eccellenti, grandi e piccole, sono sovrannazionali perché l' ottanta per cento del loro fatturato lo fanno all' estero e uno starnuto a Mosca o a Pechino può fare loro più male, o bene, di una nuova tassa, in più o in meno, decisa a Roma. Possiamo essere noi «sovrani» di questi diabolici e ineluttabili meccanismi? Proprio no, non è possibile, neppure se Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sgolassero a urlarlo da qui all' eternità.

E ancora. Possiamo essere «sovrani» sulla rete Internet che veicola oggi in tempo reale l' 80% dell' informazione, vera o falsa che sia?

Possiamo esserlo sull' imporre alle donne italiane le regole della maternità quando appena fuori dai nostri confini è ammesso qualsiasi tipo di fecondazione? Possono i «sovranisti» fermare la tecnologia che tutto permette a tutti? La risposta è sempre la stessa: no.

Usciamo quindi dall' inganno sovranista.

La questione non è essere favorevoli o contrari, semplicemente parliamo di una cosa irrealizzabile, fuori dal tempo. Io mi accontenterei di essere sovrano a casa mia, nel senso della mia famiglia. Ma anche lì ho non pochi problemi (e Salvini penso altrettanto).

2. AVVISO AI SOVRANISTI

Giuseppe Turani per ''il Giorno - la Nazione - il Resto del Carlino''

Il crollo della lira turca, meno 30 per cento da inizio anno, 7 per cento solo negli ultimi giorni, è la peggiore e più dura lezione che potesse cadere in testa ai sovranisti nostrani. In un certo senso è una specie di visione anticipata di un possibile film italiano (se non avessimo l' Europa e la Bce di Mario Draghi).

Ma che cosa è successo? Da tempo la Turchia viveva di espedienti, cioè di prestiti a brevissimo termine. I mercati preferivano questi perché abbastanza poco rischiosi e comunque ben remunerati.

Prestiti più sensati, cioè a più lunga scadenza, ormai erano diventati impossibili: per concederli i mercati chiedevano interessi impossibili. I titoli del debito turco decennali sono arrivati a pagare un interesse annuo del 20 per cento.

Essere padrone assoluto della Turchia e incarcerare migliaia di oppositori non è bastato a Erdogan per migliorare la sua economia. Anzi, probabilmente ha peggiorato le cose. Le economie moderne sono fatte di scambi e di innovazioni. Due condizioni che richiedono la libertà di tutti e la circolazione delle idee e delle persone al posto della galere. Erdogan invece ha trasformato la Turchia in un fortino assediato, controllato dalla sua polizia, e il Paese è andato alla deriva.

Non solo. Da bravo sovranista super («L' America ha il dollaro e l' esercito, ma noi abbiamo Allah») ha di fatto isolato il suo Paese dal resto del mondo.

Da tempo immemorabile è in fila per entrare nell' Unione europea (alla quale un Paese così farebbe anche comodo), ma le sue scelte politiche contro i diritti fondamentali di un popolo libero hanno impedito a Bruxelles di accogliere la sua domanda.

Quindi è fuori. E l' Europa, invece di aiutarlo, come sarebbe accaduto se fosse stato un suo membro effettivo, si limita a isolarlo e a fare il conto dei possibili danni che la sua crisi può provocare al sistema finanziario europeo, cioè alle sue banche.

La lezione che si ricava da questa catastrofe è molto netta: Draghi non correrà in aiuto della Turchia, ma pregherà le banche europee di disimpegnarsi il più velocemente possibile.

A questo punto un default turco è quasi inevitabile. Allah, probabilmente, sta guardando altrove e poi non ha comunque il bazooka di Draghi. Essere sovranisti, a volte, costa caro.

3. IL FANTASMA DELLO SPREAD

Bruno Vespa per ''il Giorno - la Nazione - il Resto del Carlino''

Se mi presti dei soldi, ti aspetti che io te li restituisca. Il tasso di interesse sarà maggiore se io mi comporto in maniera non trasparente o addirittura rischiosa. La Turchia ieri è affondata perché la sua politica economica non è affatto tranquillizzante e le banche europee (anche italiane) esposte con la Turchia hanno avuto il loro bagno di sangue. In misura per fortuna inferiore, il discorso vale per i titoli di Stato italiani. La parola magica si chiama 'spread', cioè differenziale, nella fattispecie tra titoli italiani e tedeschi.

La parola spread era sconosciuta alle persone comuni l' 11 luglio 1992 quando una manovra da 15 miliardi di euro fatta per decreto in una notte (anche col prelievo del sei per mille sui conti correnti) non impedì ai nostri titoli di toccare un differenziale di 769 punti la vigilia del 14 settembre quando la Bundesbank comunicò alla Banca d' Italia che non avrebbe più convertito marchi in lire.

La lira fu svalutata di un venti per cento reale e sulla schiena degli italiani piovve una mannaia dell' equivalente di 45 miliardi di euro, metà tagli e metà tasse (Ici, aumento dei contributi sociali, minimum tax per arginare l' evasione degli autonomi).

Nell' estate del 2011 ci fu una lite tra chi (Berlusconi e Brunetta) voleva tagliare le tasse e chi (Tremonti) non voleva farlo. Fino ad allora lo spread era sempre oscillato tra i 100 e i 140 punti, nonostante la crisi finanziaria avesse inginocchiato Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna.

Le liti nel governo portarono lo spread a 226 e dopo una manovra economica poco convincente a 416 punti base. Il 5 agosto arrivò al governo la lettera a firma congiunta Trichet (presidente Bce) e Draghi (governatore della Banca d' Italia) che imponeva il pareggio di bilancio nel 2013 e non più nel 2014. Berlusconi dovette fare una manovra da 65 miliardi di euro in tre anni. Ma i Mercati si convinsero che il parlamento l' avrebbe annacquata e il 9 novembre 2011 lo spread toccò i 574 punti per chiudere poi a 552.

Berlusconi dovette dimettersi.

Ma nonostante la mannaia fiscale di Monti, nel giugno 2012 lo spread toccò ancora i 532 punti per poi scendere negli anni successivi non lontano dai 100 punti della virtù. La conseguenza della politica economica di questi decenni è che non cresciamo da vent' anni e gli italiani guadagnano meno di dieci anni fa.

Questa ampia premessa porta a una rapida conclusione: con i Mercati non si scherza.

Nonostante le previsioni di uno spread a 300 punti in caso di governo Lega- 5 Stelle, fino ad aprile i Mercati sono stati a guardare con tranquillità. Il 27 maggio Cottarelli ha rinunciato perché temeva che lo spread - arrivato a 300 punti in un soffio - raddoppiasse nel timore della forte incertezza prodotta dalle elezioni anticipate.

Oggi lo spread è a 260 punti e già ci siamo giocati due miliardi di interessi in più fino alla fine dell' anno. Due miliardi (quattro l' anno prossimo se lo spread resta stabile) che avremmo potuto spendere meglio. Se la soddisfazione delle promesse elettorali mandasse i conti fuori binario, lo spread esploderebbe e il governo forse dovrebbe dimettersi. Ma intanto avremmo buttato al vento fior di miliardi.

Sarebbe perciò incomprensibile un derby tra Conte/Tria e Di Maio/Salvini che procura solo confusione. Saremmo ovviamente tutti felici di avere al più presto date di pensionamento più eque, reddito di cittadinanza e tasse più basse. Ma la globalizzazione toglie sovranità. E comunque nessun buon padre di famiglia spende troppo più di quel che può permettersi.

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