Il Gigio magico

Amici d’infanzia e compagni di studi: Di Maio colonizza il Mise e Palazzo Chigi coi suoi compaesani. Pomigliano caput mundi. Parte1

di Valerio Valentini 13 Agosto 2018 da www.ilfoglio.it

Ai tempi in cui l’assalto al Palazzo era ancora un sogno sgangherato di rivoluzione, e non già – non solo, almeno – una italica ansia di occupare poltrone, il credo grillino decretava conclusa l’epoca delle clientele e del familismo. “Voi vivete ancora con l’idea che se voti qualcuno, quel qualcuno poi ti trova un posto. Ma ora vi dovete mettere in testa che per fortuna è tutto finito. Il voto di scambio non esiste più, perché in cambio del voto non hanno nulla da offrirvi. Il lavoro non c’è, e quindi non possono darvelo. O al massimo ve lo danno pure, ma poi lo stipendio ce lo mettete voi”. Così, nella campagna elettorale del 2013, arringava le folle plaudenti sotto al suo palco, nelle piazze o nei palazzetti sempre stracolmi, Beppe Grillo. Lo diceva un po’ dovunque, ma con più enfasi, con maggiore compiaciuto gusto della provocazione, sottolineava questo passaggio nelle città del Sud: quasi a volere rimarcare la differenza tra il Movimento e quel che c’era stato prima, e quel che c’era intorno, e forse anche con l’intenzione di mettere le mandi avanti, come a disilludere preventivamente eventuali aspettative: “Noi agli amici degli amici – urlava il comico, sbracciandosi – diciamo invece di prendere una parte del loro tempo e spenderlo nell’interesse della collettività”. Lo ha fatto anche Luigi Di Maio, a suo modo. Ai suoi compagni più fidati, ai suoi conoscenti più stretti, il capo politico del M5s, appena arrivato al governo, ha subito chiesto di mettersi a disposizione. Non proprio gratis et amore Dei, però. E in fondo è giusto così. Ecco che allora la sua Pomigliano d’Arco – città che un tempo fu operaia, e quindi rossa, oltreché contadina, e che poi ha visto sgretolarsi, insieme alla sua identità e alle sue contraddizioni di paesotto un po’ contadino e un po’ industriale meta dei pellegrinaggi degli studenti di sinistra dell’università di Napoli, il suo prestigio di Torino del Mezzogiorno, con gli stabilimenti dell’Alfa Sud ridimensionati e a lungo in bilico sull’orlo della chiusura, l’Alenia per decenni in agonia, i consorzi agrari chiusi in successione e la sede del pastificio Russo ridotto a un monumento decadente di archeologia manifatturiera – quella sua Pomigliano d’Arco dove il 4 marzo il M5s ha raccolto quasi il 65 per cento dei voti e dove perfino i parroci non hanno resistito alla tentazione di fare dichiarazione di fede grillina alla vigilia delle politiche, attirandosi poi le critiche del caso, quella Pomigliano si è subito, improvvisamente, offerta al suo nuovo eroe come fucina di talenti da destinare alla causa del governo del cambiamento.

“Voi vivete ancora con l’idea che se voti qualcuno, quel qualcuno poi ti trova un posto. Le cose cambieranno”, diceva Gigi

Quando Il Giornale ha rivelato la vicenda di Assunta Montanino, detta Assia, la ventiseienne chiamata – senza avere granché da rivendicare, nella sua breve carriera di giovane dottoressa, con laurea triennale, in Economia aziendale – al ministero dello Sviluppo come segretaria particolare dell’illustre compaesano appena insediatosi a Via Veneto, Di Maio l’ha difesa raccontando di lei come della “figlia di un commerciante che ha denunciato i suoi usurai”. “Ho avuto modo di conoscerla quando sono stato a far visita al padre per portargli la mia solidarietà”, ha scritto, indignato, il vicepremier. E nel farlo, evidentemente, non si accorgeva che la logica che lo aveva spinto, con una longanimità per certi versi perfino apprezzabile, a scegliere come stagista nel suo ufficio di vicepresidente della Camera prima, e come strettissima collaboratrice ministeriale a 72 mila euro annui poi, la Montanino, era grosso modo la stessa che per decenni aveva giustificato la noncuranza con cui i notabili della Prima Repubblica avevano accettato di farsi carico, affidandogli qualche incarico da portaborse, del figlio del cugino del compare, che magari – poverino – era pure bravo e diligente, ma una sistemazione proprio non riusciva a trovarsela. E infatti gli attivisti campani più ferventi, quelli che ingenuamente al moralismo palingenetico propagandato dal M5s ci credono davvero, ancora, non tanto per le scarse qualifiche della beneficiata, hanno protestato, quanto per quella pratica un po’ vecchiotta di ripiegare sulle conoscenze personali. E subito, in un guizzo di iconoclasta corrosività, hanno trovato la formula che ha fatto irritare lo stato maggiore del grillismo campano: “Pomigliano d’Arcore”.

  

Salvatore Barca è tornato in pianta stabile a Via Veneto, come capo della segreteria del ministro. Una nomina che farà discutere

Il tutto, appena prima che sulla Montanino e sulle sue relazioni private, cominciassero a circolare indiscrezioni mai smentite dai diretti interessati: voci confermate, peraltro, anche da parlamentari napoletani che la zona a nord del capoluogo partenopeo l’hanno bazzicata a lungo, e che in qualche modo spiegherebbero con argomentazioni più perfide e più credibili la rapida ascesa della giovane pomiglianese, o quantomeno fornirebbero una interpretazione alternativa dei fatti, lasciando poi, a chi lo volesse, la libertà di scegliere. E insomma il pettegolezzo vuole che la giovane Assia, dopo un sfortunata relazione con un ragazzo di Castellamare, si sia avvicinata sempre più a Salvatore Barca. Lo ha conosciuto ai tempi in cui lei era appena arrivata a lavorare alla Camera, e lui, dal Mise, era traslocato a Montecitorio come consulente economico del vicepresidente grillino. Ora i due condividono sia la casa sia il luogo di lavoro: dacché, seguendo come un’ombra il prode Luigi, ora Barca è tornato in pianta stabile a Via Veneto, come capo della segreteria del ministro. E, seppure semplice impiegato di area seconda, Di Maio sta brigando per promuoverlo a segretario generale del dicastero. Cosa tecnicamente impossibile, a ben vedere, dacché, per ottenere quel prestigioso icnarico, bisognerebbe essere già dirigenti di prima fascia; ma ai piani alti del Movimento si stanno industriando per tentare di aggirare l’ostacolo. Del resto, di Barca, Di Maio si fida ciecamente. E da anni: fu proprio Barca, infaticabile marciatore lungo i corridoi di Montecitorio, ad aiutare i vertici del M5s nell’istituzione del fondo per il microcredito alle aziende presso il Mise, quello alimentato dalle restituzioni dei parlamentari grillini. Dettaglio non secondario: Barca è di Volla, 25 mila abitanti a nord est di Napoli, a dieci minuti di macchina da Pomigliano. E del resto, in questa nuova geografia del potere grillino, i confini sono davvero ristretti: tutto gravita, secondo una abitudine che pure è deprecatissima nell’ideologia purista a cinque stelle, intorno a quella via Abate Felice Toscano dove l’ex steward del San Paolo, divenuto enfant prodige della Casaleggio & Associati, tiene ancora la sua residenza. Il cuore del Gigio Magico è qui, in un raggio di una decina di chilometri, o poco più.

Già Napoli, d’altronde, è terra straniera. Sempre stata ostile, la metropoli, a Di Maio. Lì, quando il Movimento era ancora sacrificio di banchetti e assemblee, spontaneismo armato di illusioni e volantini, era Roberto Fico, il vate. “E infatti Luigi ci frequentò per qualche tempo – racconta un attivista storico – ma poi preferì coltivarsi la provincia”. Fu la sua fortuna: costruirsi una rete di MeetUp locali, nell’hinterland napoletano ma anche a Caserta, anche a Salerno, che avesse come centro nevralgico Pomigliano. E così – con quella sua faccia pulita, la camicia cucita sulla pelle, il taglio di capelli sempre uguale, negli anni, e una sorta d’insensibilità alle temperature che gli permette di non sudare d’estate, in giacca e cravatta sotto al sole, e non congelare d’inverno, in giacca e cravatta sotto la pioggia, con quei suoi modi da democristiano fuori tempo massimo, precocemente paludati già prima che le sessioni di training mediatico di Silvia Virgulti, la mental coach della Casaleggio divenuta poi pure famme fatale, arrivassero a renderli più acconci alle seigenze televisive – Di Maio ha saputo fare della sua cittadina l’epicentro del grillismo campano, e non solo. E siccome l’ingresso nel Palazzo è stato vissuto con una certa angoscia, siccome il timore d’imboscate e tradimenti è vivissimo nell’animo di Rocco Casalino e Pietro Dettori, con la conseguente diffidenza – una cautela che spesso si fa psicosi – per qualunque presenza non conosciuta nei paraggi del 33 di via Veneto, ecco che il fare affidamento su pochi, fidatissimi collaboratori, è divenuta pratica non già concessa, ma addirittura raccomandata anche da Davide Casaleggio.

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