Il Gigio magico Parte 2

Gli attivisti campani più ferventi hanno trovato una formula non gradita al vicepremier. Sintesi: “Pomigliano d’Arcore”

di Valerio Valentini 13 Agosto 2018 da www.ilfoglio.it

E Di Pomigliano è infatti il capo segreteria del vicepremier a Palazzo Chigi. Si chiama Dario De Falco, e ha 34 anni: due in più del suo illustre amico. Si conoscono sin dall’infanzia. Insieme hanno frequentato il liceo classico Imbriani, venendo eletti tutt’e due rappresentanti d’istituto; insieme s’iscrivono a Giurisprudenza alla Federico II, e anche lì condividono a stretto contatto la passione politica, fondando un’associazione che poi a turno, come ha raccontato Luciano Capone sul Foglio, presiedono e guidano. Apprendisti webmaster entrambi, entrambi finiti fuori corso, sono loro i primi animatori del MeetUp di via Ercole Cantone, che diventerà in seguito “Spazio 5 stelle”, trasferendosi al 35 di via Giordano Luca. Poi l’uno, da sempre più a suo agio nello stringere mani e dispensare sorrisi che non nell’organizzare sit-in, graziato nel dicembre del 2012 da 189 click si avvierà verso l’apoteosi, mentre l’altro, meno esile e più incline alla cadenza napoletana, l’altro dovrà pazientare ancora un paio d’anni prima di ottenere, scontata, la candidatura a sindaco della cittadina. Finirà secondo, lontanissimo dal vincitore – Lello Russo, ex socialista alla guida della coalizione di centrodestra – e con appena 6.114 preferenze. Quattro, invece, i grillini che entrano in Consiglio comunale: e tra loro non c’è una giovane laureanda in Economia aziendale, figlia di un commerciante che ha denunciato i suoi usurai. Si chiama Assunta, ma tutti la chiamano Assia: e racimola appena 170 voti. “Dario – raccontano i grillini locali – ha sempre agito in maniera un po’ autonoma: era chiaro che quel ruolo gli andasse un po’ stretto”. E infatti, quando il governo gialloverde prende forma, ecco che l’occasione per il grande salto di De Falco si materializza, e partono le grandi manovre. L’amico di sempre lo vuole tesoriere del suo comitato elettorale. Lui, nel frattempo transitato, all’insaputa dei più, in un “Gruppo De Falco” di cui è componente unico, abbandona il Consiglio comunale e approda a Palazzo Chigi. E passano pochi giorni prima che Di Maio, impossibilitato a seguire le beghe interne e le lamentele dei suoi colleghi parlamentari, cui diventa sempre più insofferente mano a mano che più ingombra di faldoni si fa la sua scrivania a Via Veneto, demanda al suo pretoriano il compito di raccogliere e smistare le richieste di deputati e senatori. Scelta improvvisa, che il vicepremier comunica alle truppe con uno sbrigativo messaggio in chat, rivelato da Alessandro Trocino sul Corriere della Sera: “Le questioni e i rapporti che riguardano il Movimento, l’attività di governo e le questioni parlamentari annesse, le seguirà per me il capo segreteria a Palazzo Chigi, Dario De Falco”.

A Roma non è invece arrivato, per ora, l’altro vertice del triangolo pomiglianese a cinque stelle: Valeria Ciarambino. E sì, che stando a quanto si vocifera tra i parlamentari grillini, il tentativo c’è stato. E a testimoniarlo starebbe le foto di lei abbracciata al neopremier Giuseppe Conte, a inizio luglio, nei giorni in cui si discuteva della sua possibile promozione. Poi, però, Di Maio ha desistito, e alla segreteria di Palazzo Chigi, con la delega agli enti locali, ha chiamato Max Bugani, consigliere bolognese e socio di Rousseau, Ignazio Corrao, europarlamentare siciliano, e Valentina Corrado, pometina al secondo mandato alla Pisana, dopo aver sfidato Roberta Lombardi per la leadership laziale del Movimento. Quarantacinque anni, carattere vulcanico, la Ciarambino è un’impiegata di Equitalia quando viene scelta – con l’obiettivo, tra gli altri, di abolire Equitalia – come candidata governatrice a cinque stelle, nel 2015. Qualcuno, per questa bizzarra coincidenza, storce il naso; qualcuno perfino protesta, anche sul Sacro Blog, arrivando ad accusarla addirittura di essere “una infiltrata”. E’ lei la guida del Movimento, in Regione. Liquida con un’alzata di spalle i mugugni dei suoi colleghi che malsopportano il fatto che resti capogruppo anche al di là dei limiti temporali imposti dal regolamento interno, che pure prevede rotazioni regolari. Non si scompone più di tanto nemmeno quando monta la polemica di fronte alla convocazione a Palazzo di Domenico Migliorini, avvocato grillino che la Ciarambino ha conosciuto durante la campagna elettorale, e che chiama a lavorare nel suo staff. In tanti protestano, parlano di “parentopoli”, di “inopportunità”. Ma lei, serafica, scrive che che non capisce “dove sia lo scandalo”. E aggiunge: “Domenico non ha un contratto, lavora a titolo gratuito per me, non per il gruppo. Cura la mia pagina Facebook, il mio indirizzo di posta elettronica, la mia agenda. Oltre ad essere il mio fidanzato è un avvocato e un attivista del Movimento 5 Stelle, che in questa fase ha deciso di dedicare una parte del suo tempo al nostro progetto politico”. E Migliorini resterà dunque al suo posto, anche se – si lamentano i grillini campani – il suo ruolo col tempo, più o meno tacitamente, si espanderà, fino a costargli le critiche di chi, in conversazioni indignate su chat che dovrebbero restare segrete, lo accusa di essere una sorta di suggeritore occulto della linea politica. “Valeria è la vigilessa, è lei che riferisce tutto a Luigi e che interviene a sedare, sempre a modo suo, le discussioni: è successo per le parlamentarie a gennaio, quando ci furono delle esclusioni sospette, ed è successo pure con la storia della Montanino, quando lei ha accusato tutti quelli che osavano fare qualche domanda di troppo di essere dei sessisti, e li ha invitati a vergognarsi”, racconta di lei chi non la stima molto.

  

“Valeria Ciarambino è la vigilessa, è lei che riferisce tutto a Luigi e che interviene a sedare, sempre a modo suo, le discussioni”

Dicono quasi tutti un gran bene, invece, di Enrico Esposito. Avvocato serio, persona sempre pronta allo scherzo ma pure riservata, quando serve, è a lui che Di Maio sta pensando per un un posto all’ufficio Affari legali del ministero dello Sviluppo. E’ di Acerra, che da Pomigliano dista cinque chilometri. Da sempre appassionato di politica, ha smesso ancora giovane di seguire le orme della sorella Francesca, che la sua avventura l’ha tentata col Pd, prima di diventare insegnante e ottenere anche degli incarichi al ministero degli Esteri. Enrico, invece, alla Federico II conosce Di Maio e De Falco: stessa facoltà, stessa scelta di aderire al grillismo della prima ora, ma lui è l’unico che arriva fino in fondo, per poi aprire uno studio legale a Roma. Le foto del suo matrimonio, nel settembre scorso, lo ritraggono felice e sorridente con l’allora vicepresidente della Camera in completo blu. “La banda dei quattro”: così li ricorda un loro amico napoletano dei tempi dell’università. E il quarto, l’unico finora non nominato, è Carmine Sautariello. Pure lui avvocato – lavora in uno studio napoletano da cinque anni – è tra i pionieri del M5s nella sua Nola, vicinissima a Pomigliano. Seguendo l’esempio del padre Francesco, che nel 1994 tentò, invano, di arrivare a Montecitorio coi centristi di Segni e Martinazzoli, anche lui ha provato il grande salto alle ultime politiche: ma le parlamentarie lo hanno respinto, anche per via delle polemiche innescate da alcune foto che testimoniavano di una recente vicinanza al mondo dell’Ncd di Angelino Alfano. Pare siano le prossime europee, il suo nuovo trampolino: andrebbe a Bruxelles a guidare la pattuglia grillina. Ma non è escluso che un qualche incarico di sottogoverno, alla fine, spunti anche per lui.

Così come per Luigi Falco, napoletano classe ‘78, giornalista che nel recente passato è statao anche portavoce di Di Maio. Diventerà lui, a breve, il capo dell’ufficio stampa a Via Veneto. Capo della segreteria tecnica del Mise è invece Daniel De Vito, nato ad Avellino come Di Maio e lì cresciuto e specializzatosi in Diritto tributario. Per quattro anni, a partire dal 2014, ha lavorato per il gruppo grillino alla Camera: e deve essersi fatto apprezzare, se poi è stato imbarcato anche nel comitato elettorale del capo politico del M5s, e coinvolto perfino negli incontri coi vertici della Lega durante la stesura del contratto di governo. “E’ il nostro orgoglio”, ribattono subito, quando si domanda di De Vito, i suoi amici attivisti. “Ma poi scusate? Che c’entra con Pomigliano, lui? Lui è irpino”. Nella striminzita cartina del nuovo impero a cinque stelle, Avellino è già periferia.

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