La finanziaria gialloverde non cambia nulla, e infatti piace a tutti (persino a Confindustria e Cgil)

Nessuna rivoluzione. La manovra del Governo accontenta gli industriali, e il sindacato più critico sulle questioni economiche, perché è fatta di provvedimenti in stile antico, che mirano a rassicurare. Senza prendere di petto le questioni cruciali

di Flavia Perina 1 Ottobre 2018 - 06:00 www.linkiesta.it

C'è qualcosa che non torna nella critica a un governo della catastrofe che però viene apertamente spalleggiato da Confindustria, il più conservatore tra i corpi intermedi del Paese. C'è qualcosa che non funziona nel racconto di un governo della dissipazione e dello sciupìo che tuttavia conquista il silenzioso rispetto della Cgil, in passato spina nel fianco di quasi tutti i provvedimenti economici. Il tacito patto di non-belligeranza che emerge tra l'esecutivo e le parti sociali più ragguardevoli del Paese è una delle novità di questi giorni e suscita reazioni stupite: Carlo Calenda, si scontra col presidente degli industriali Vincenzo Boccia contestando l'endorsement pro-Lega; il leader Cisl Marco Bentivogli adombra il sospetto di una nuova stagione di collateralismo tra sindacato e M5S.

Il fatto è che la moderata reattività alla nota di aggiornamento al Def dei due principali attori sul terreno delle politiche sociali e del lavoro rischia di incrinare gli allarmi emergenziali lanciati dalle opposizioni, smentendo l'idea di un disastro dietro l'angolo o di una deriva argentina, come ieri si è sentito ripetere più volte dal palco del Pd a Roma. Per molto meno in passato l'impresa e il sindacato di sinistra si sono stracciati le vesti: se adesso tacciono o sono impazziti oppure non ritengono fondata la prospettiva Titanic che tutti gli altri si affannano a evocare.

C'è tuttavia una terza ipotesi da tenere in considerazione, e cioè che grande industria e sindacato ritengano il governo Conte comunque preferibile a nuova instabilità, nuove avventure, e che risulti incoraggiante la speranza di placare almeno per un po' un Paese da ribollente di rabbia e rancore.

C'è tuttavia una terza ipotesi da tenere in considerazione, e cioè che grande industria e sindacato ritengano il governo Conte comunque preferibile a nuova instabilità, nuove avventure

In realtà, il timore di una rivoluzione vera nelle questioni dello sviluppo, delle tasse, dell'occupazione, è svanito con la presentazione del primo documento economico dell'esecutivo gialloverde. Il governo del cambiamento, in fondo, si è regolato come tutti gli altri, senza strappi significativi rispetto alla tradizione italiana: provvedimenti in deficit, pressing sull'Europa per aumentare i margini di flessibilità. Niente di diverso da quel che avevano fatto Renzi, Gentiloni, o addirittura Tremonti ai tempi suoi.

Lo spettro (per molti) di una vera redistribuzione delle risorse, fatta tagliando sprechi e sedimenti parassitari dove esistono per trasferire soldi verso mondi dimenticati, è stato scongiurato. Nessuno, nell'immediato, ci rimetterà più di tanto e molti - come le partite Iva e i cittadini nei guai col fisco - ci guadagneranno, per non parlare della platea dei disoccupati o degli occupati a singhiozzo. I provvedimenti saranno magari irrealistici, imperfetti, utopistici, ma al momento garantiscono attenzione a settori che da anni erano dimenticati dalla destra e dalla sinistra, coi risultati che sappiamo.

Il silenzio o la moderazione delle parti sociali è un segnale di consapevolezza di tutto ciò. Mentre il rumore delle opposizioni rivela una malcelata paura. Più passano i giorni, più è evidente che la manovra del governo incontrerà un consenso assai largo e trasversale alle categorie. Liberi professionisti, lavoratori a intermittenza, titolari di debiti modesti angosciati dai blocchi amministrativi di Equitalia. Un largo numero di quasi-pensionati. Un largo numero di adulti senza lavoro o di anziani sotto la soglia di sopravvivenza. Da anni questa vastissima platea chiede attenzione e non la ottiene, anzi: spesso è stata offesa dai calembour dei ministri sui fannulloni, i parassiti, quelli che non si impegnano, o dalle semplificazioni sull'evasione che mettevano insieme redditi falcidiati dalla crisi e grandi patrimoni domiciliati alle Cayman. Ecco, ora è quasi palpabile il senso di rivincita di questi cittadini, che si fa più forte ogni volta che un esponente della destra o della sinistra ripete i soliti luoghi comuni per contestare la manovra prossima ventura.

Lo spettro (per molti) di una vera redistribuzione delle risorse, fatta tagliando sprechi e sedimenti parassitari dove esistono per trasferire soldi verso mondi dimenticati, è stato scongiurato

Non sarà facile attrezzare una critica convincente alle linee economiche del governo Conte perché tutti gli antichi argomenti – lo spread, i mercati, le possibili reazioni dell'Europa, la predazione delle future risorse dei figli e dei nipoti – parlano ormai a una platea minoritaria, quella che nello status quo della Seconda Repubblica viveva abbastanza bene e che conosce i meccanismi dell'economia a sufficienza per comprendere i rischi di un incremento del debito. Tutti gli altri, compresi i corpi intermedi che da tempo si sentono assediati dal Paese reale, vedranno nelle nuove misure un'opportunità, una speranza: convincerli che è infondata, o addirittura foriera di disastri, richiederà argomenti più solidi di quelli utilizzati finora.

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