Il congresso del Pd è sempre più affollato (i rischi della frammentazione)

L’assenza di una candidatura forte, alla Renzi, ha spalancato le porte a tutti, al punto che potrebbero esserci tante candidature, persino troppe

di David Allegranti 5 Ottobre 2018 www.ilfoglio.it

Roma. Le candidature al congresso del Pd, piano piano, lievitano come l’impasto per la pizza. Non c’è solo Nicola Zingaretti in campo, ma anche Matteo Richetti. “Non ha senso ora un partito che prova a parlare a tutti contemporaneamente, mettendo tutti sullo stesso piano, oggi l’emergenza è rappresentata dalle nuove generazioni”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera. Il presidente della Regione Lazio e il senatore emiliano potrebbero non essere gli unici, visto che Matteo Renzi è ancora alla ricerca di un suo candidato ufficiale. L’insistenza su Graziano Delrio e Marco Minniti – che per settimane hanno opposto una cortese resistenza all’ex segretario del Pd – sembra essersi un po’ smorzata. L’assenza di una candidatura forte, alla Renzi, ha naturalmente spalancato le porte a tutti, al punto che potrebbero esserci tante candidature, persino troppe.

Stando allo statuto del Pd, infatti, il congresso si svolge in più fasi. Il primo giro serve a filtrare i candidati: “Risultano ammessi all’elezione del segretario nazionale i tre candidati che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti purché abbiano ottenuto almeno il cinque per cento dei voti validamente espressi e, in ogni caso, quelli che abbiano ottenuto almeno il quindici per cento dei voti validamente espressi e la medesima percentuale in almeno cinque regioni o province autonome”. Non è finita: “Qualora sia stata eletta una maggioranza assoluta di componenti l’assemblea a sostegno di un candidato segretario (501, ndr)”, il presidente del Pd lo proclama eletto. In caso contrario si procede con un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di delegati.

Al congresso del 2009 – vinto da Pier Luigi Bersani – Massimo D’Alema spinse per far candidare Ignazio Marino, a quei tempi sponsorizzato da Goffredo Bettini e Michele Meta, per timore che il congresso potesse vincerlo Dario Franceschini. In caso di spareggio, infatti, Bersani avrebbe vinto con i voti di Marino (non fu necessario). Stavolta però non è così. Non c’è nessuno che prova a “governare” il congresso e c’è il bomba libera tutti. Dunque le candidature potrebbero continuare a lievitare.

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