Ai sovranisti europei l’Italia fa schifo (e chi pensa di cambiare le regole con loro è un illuso)

Di Maio dice che la vittoria dei sovranisti alle elezioni europee aiuterà l’Italia, Salvini gli fa eco. Errore da matita blu: da Orban ad Alternative fur Deutschland nessuno vuole cambiare le regole per far piacere all’Italia. Il risveglio sarà molto amaro

di Martina Di Pirro 8.10.2018 www.linkiesta.it

«Amicizia è uguaglianza» sosteneva il filosofo Pitagora, fondatore di una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità. «Ci sarà un terremoto politico a livello europeo e tutte le regole cambieranno. In tutti i paesi europei sta per accadere quello che è accaduto qui il 4 marzo», gli fa eco il vicepremier Di Maio, duemila e rotti anni dopo, confindando che gli amici europei finiscano per aiutare il governo italiano nella sua battaglia contro l'austerità. Forse però l’arroganza dei sovranisti made in Italy, pronti al tutto per tutto pur di scalare la classifica degli slogan irrealizzabili, li rende ciechi - volutamente o per ignoranza è da vedere - di fronte alle evidenti divergenze con i cugini sovranisti europei, che a tutto pensano tranne che a salvaguardare il Bel Paese e a farci spendere come le peggiori cicale. L’asse Orban-Salvini-Kurz-Le Pen è quanto di più pitagoricamente lontano dall’amicizia politica esista, che pure spunta dalle parole dei leader almeno una o due volte in ogni agenzia stampa, fatta eccezione per qualche bisticcio di quando in quando.

È chiaro che si tratta, più che altro, di una logica al ribasso, di un’alleanza a svendita di sovranità che rischia un catastrofico effetto domino sull’Italia. Le ricette possono confondere, a prima vista appaiono le stesse: sovranismo, democrazia illiberale, frontiere chiuse, primato nazionale su base etnica e potere dei clic da tastiera contro i parlamenti tecnocratici. Un’alleanza 3.0 che pare unire amicizia indissolubili e un legame - La Lega delle Leghe, per dirla alla Salvini, the Movement per dirla alla Steve Bannon - fondato su basi solide di comunione di intenti. Un progetto condiviso, potente, che stringe mani e affari strizzando occhi e puntando indici. Pare.

Ma qualcosa non torna in casa sovranista. A partire dalla questione migratoria, per cui il “prima il mio Paese” non sembra favorire molto questa idea di cooperazione tra stati che pure è contraddittoria in termini di sovranismo. Il leader ungherese Viktor Orban, se da un lato si siede al fianco di Salvini per cambiare le regole Ue sui migranti, dall’altro tutela interessi che sono divergenti, se non del tutto opposti a quelli italiani. Non a caso il flop del piano Ue sui ricollocamenti dei rifugiati, che avrebbero allentato la pressione sugli Stati di primo approdo (Italia e Grecia), è anche a firma dell’uomo forte di Budapest, l’amico, il cugino, il sodale, che ha preferito fare asse con l'austriaco Kurz, quello che ci voleva mandare i carrarmati al Brennero, e gli odiati tedeschi. Uniti nella battaglia all'immigrazione illegale, ma diametralmente distanti sulla politica dei ricollocamenti.

La rotta del Mediterraneo centrale, per motivi geografici e geopolitici, non è un grosso problema per Ungheria e Germania, se non per la questione dei cosiddetti "movimenti secondari”. E quindi, un po’ come le destre radicali degli anni ottanta, che invitavano a difendersi dalle ingerenze americane e sovietiche, la Fortezza Europa da difendere come un bastione dalle invasioni è un punto in comune, certo, peccato che il cerino in mano a qualcuno deve pur rimanere. E se il primato nazionale è quello che dovrà vincere, in una logica di egoismo del più forte, sarà difficile alzare barriere nel Mar Mediterraneo senza conseguenze enormi in termini di vite umane e politiche di contrasto che subirà solo e soltanto l’Italia. Dal canto suo, Marine Le Pen, che incontrerà oggi Salvini a Roma, festeggia un ritorno al patriottismo sapendo di pronunciare parole vuote. D’altronde a lei, al contrario di Orban, il gioco della democrazia illiberale non è mai riuscito, fermata dal baluardo repubblicano francese, prima retto da gollisti e socialisti e ora da Macron, e da una legge elettorale a doppio turno che ne impedisce, a meno di clamorosi successi elettorali, l'ascesa all'Eliseo.

Ma il vero punto di contrasto, quello che fa uscire dalla protezione dell’ombrello comune e crea reali divisioni, rimane il dramma della visione complessiva dell’Europa fuori dall’austerità a cui si è aggiunto il fardello del debito italiano. Ed è qui che gli “amici” smettono di essere uguali. Mentre Salvini porta avanti il piano di distacco totale dall’austerity europea conscio che l’unico muro che vuole abbattere è proprio quello di Bruxelles, smontando tassello dopo tassello l’Europa odierna e i parametri del trattato di Maastricht, gli altri della cosiddetta “internazionale sovranista” lo guardano torvi e cominciano a dare i primi segni di vero e proprio odio di interesse. Innanzitutto, la revisione dei trattati - se vuoi cambiare l’Unione Europea non c'è altra strada - non è così semplice come da propaganda gialloverde. Si tratta di un iter complesso, sempre vincolato a uno scoglio finale: la ratifica di tutti gli Stati membri. In altre parole, basta l’opposizione di un solo paese per rimandare o bloccare le modifiche.

«L’Italia è ancora attaccata alla flebo della Bce. E adesso la Francia e l’Italia pretendono pure il fondo comune dei depositi? Noi siamo totalmente contrari. Così ricominciate a fare debiti»

Alice Weidel, Alternative fur Deutschland

Partiamo allora proprio dagli “amici”, dall’Ungheria di Orban, che riceve dall'Unione Europea contributi pari al 4,19% del Pil e ne vera l'0,85% del PIl. In Ungheria, il 95% degli investimenti pubblici in Ungheria è cofinanziato dall'Unione Europea e il 6.3 % della ricchezza nazionale ungherese è generato da investimenti europei. Ecco: ce lo vedete Orban che regge il gioco a chi vuole boicottare il bilancio europeo, a chi vuole smettere di finanziare la crescita ungherese, come i sovranisti di casa nostra? No, spiacenti: a Orban l'Europa serve, intera e austera, e di condividere il rischio del nostro debito sovrano non ci pensa nemmeno per sbaglio. Non solo: il primo ministro ungherese, nonostante la recente ammonizione al Parlamento Europeo per violazione dell’articolo 7 (che prevede sanzioni nel caso in cui si violino i valori fondamentali dell'Ue: il rispetto per la democrazia, l'uguaglianza, lo Stato di diritto e i diritti umani), continua a far parte della famiglia moderata del Ppe e sembra difficile pensare che la abbandoni di punto in bianco, per correre dietro alle cicale italiane.

Nemmeno la leader del partito tedesco di destra Alternative fur Deutschland, Alice Weidel, guarda all’Italia come qualcosa da proteggere, anzi. «Da un punto di vista economico l’Italia è in uno stato desolante. Il suo debito è alle stelle: non solo quello pubblico ma anche quello privato è diventato alto. L’unica salvezza è la ricchezza patrimoniale dei privati, molto più alta che in Germania» afferma in un’intervista a Repubblica. L’accusa si fa più pesante quando sostiene che «L’Italia è ancora attaccata alla flebo della Bce. E adesso la Francia e l’Italia pretendono pure il fondo comune dei depositi? Noi siamo totalmente contrari. Così ricominciate a fare debiti. La Lega si sta mostrando troppo debole su questo. Propone l”Italia First”, lo capisco. Ma non può proporre follie, poi smentite, come la cancellazione di 250 miliardi di debito.»

Insomma, più che “in nome del popolo”, i leader europei sembrano guardare all'Italia “in nome dell’odio”. Un’Italia che è la cicala alleata con le formiche e che si sta muovendo sul filo del rasoio. Un'Italia stretta ancora di più dalle politiche di austerità della destra alleata con il centro-destra, lasciata sola non dagli uffici di Bruxelles, ma da Budapest, Berlino, Vienna e da tutti quei governi con cui il Ministro degli Interni immaginava alleanze vita natural durante. Salvini e Di Maio sognano. Ma il risveglio sarà brusco, temiamo.

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