Salvare la faccia o salvare l’Italia? Ecco perché Salvini e Di Maio si giocano tutto nelle prossime due settimane

Oggi il verdetto di S&P sul rating italiano. Venerdì prossimo, gli stress test bancari della Bce.

26.10.2018 Francesco Cancellato www.linkiesta.it

Quello successivo, la nuova manovra da inviare alla Commissione. Oggi i due vicepremier fanno i duri. Ma tra quindici giorni potrebbe davvero essere cambiato tutto

Salvare la faccia o salvare l’Italia? Per Salvini e Di Maio non saranno tre settimane semplici. Ieri ha iniziato Mario Draghi, a suggerire al governo Conte l’adozione di misure per contenere lo spread - leggi: modificare la manovra economica - e ad auspicare un accordo tra l’esecutivo e la commissione europea - leggi: modificare la manovra economica. Se stasera Standard & Poor’s dovesse declassare l’Italia, l’assolo di Supermario si trasformerebbe in un coro polifonico: slegatevi da quel 2,4%, l’Italia non può morire per la vostra ostinazione.

Mica facile, in realtà, quando hai fatto una campagna elettorale vendendoti come quello che non si piega ai poteri forti e alla dittatura dello spread. Quando hai vinto grazie alla tua risolutezza nel contrapporti alle politiche di austerità dell’Unione Europea. Quando dietro a quel 2,4% di deficit si celano 16 miliardi di trasferimenti ai pensionati e la promessa di un maxi sussidio ai disoccupati del Mezzogiorno. E infatti Salvini tiene duro - «Anche io voglio un accordo, ma alle nostre condizioni» -, Di Maio tiene duro - «Noi manteniamo le promesse e siamo uno stato sovrano» -, e Savona tiene ancora più duro, e si permette pure il gusto della frase sibillina: «Noi non riesamineremo la manovra, ma il contesto nel quale ci poniamo», dice. E chissà a cosa pensa.

Meno duri, molto meno duri sono il premier Conte, il vicepremier Giorgetti e il ministro Tria, che hanno già detto, senza mezzi termini che preferiscono l’Italia alla faccia, se le cose si mettono male: «Siamo gente responsabile e faremo le cose responsabilmente. Non possiamo tenere sempre il piede sull'acceleratore. Se vediamo una curva dovremmo frenare e scalare di marcia e poi accelerare», dice Giorgetti. «Il paese non può reggere a lungo lo spread sopra i 300 punti base», gli fa eco Tria. «Se lo spread sale, il sistema non regge», chiosa Conte, tutti e tre molto più possibilisti di fronte all’ipotesi di rivedere la manovra, di fare il 2,4% di deficit, ma di «non usarlo tutto», secondo la dottrina Giorgetti, che probabilmente sta già pensando alla via di fuga per togliere il suo Capitano dall’impasse.

Dopo il venerdì di Moody’s e quello di S&P, infatti, arriverà quello degli stress test della Banca Centrale Europea, fissati per il 2 novembre. Osservate speciali Montepaschi, ovviamente, ma anche Carige, Banco BPM, Ubi e forse persino UniCredit. Arrivarci dopo una settimana di spread a 300 e rotti non sarebbe esattamente il massimo

Il problema è che la questione, che sarebbe già complessa di suo, è ancora più complicata. Dopo il venerdì di Moody’s e quello di S&P, infatti, arriverà quello degli stress test della Banca Centrale Europea, fissati per il 2 novembre. Osservate speciali Montepaschi, ovviamente, ma anche Carige, Banco BPM, Ubi e forse persino UniCredit. Arrivarci dopo una settimana di spread a 300 e rotti non sarebbe esattamente il massimo. E ancor meno lo sarebbe se, ad esempio, il Tesoro si trovasse nella necessità di mettere soldi dentro il Montepaschi di cui è il principale azionista, col 67,5%. O se l’economia reale, quella che dovrebbe crescere dell’1,6% per mantenere al 2,4% il rapporto tra deficit e Pil dovesse ritrovarsi in una situazione in cui le banche chiudono i rubinetti e gli investitori mettono i soldi nelle banche per salvarle.

A quel punto, il sentiero si farebbe strettissimo. E mancherebbero solo sette giorni all’ultimo venerdì d’inferno, quello in cui l’Italia dovrà consegnare la versione riveduta e corretta della legge di bilancio alla Commissione Europea. Sette giorni in cui, temiamo, i mercati manderanno segnali molto importanti. Chissà se Salvini e Di Maio saranno ancora così saldi sulle loro posizioni. Alla mente torna Tsipras, il suo referendum sul memorandum, il suo trionfo in una piazza Syntagma festante per non essersi piega alla Troika e la clamorosa retromarcia del giorno successivo. Dalla tragedia greca alla commedia all’italiana, il passo è più breve di quanto sembri.

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