Chi pareggia il bilancio è fuori dal governo

Nella storia italiana solo tre ministri delle finanze ci riuscirono (Sella, Sonnino e De Stefani). Tutti furono cacciati. Ma se non si riduce il debito è fuori l’intero paese

di Gianfranco Morra, 7.11.2018 www.italiaoggi.it

Pareggiare il bilancio? Anche noi ci siano riusciti. Tre volte: nel 1876 Quintino Sella, nel 1896 Sidney Sonnino, nel 1925 Alberto De Stefani (Mussolini faceva ancora una politica economica liberista).

Tutti e tre subito puniti per la loro «colpa»: cacciati dal governo. Nel periodo democratico il bilancio rimase in passivo, ma la situazione economica fu migliorata e l'Italia raggiunse un forte prestigio internazionale: una prova di questo «miracolo economico» fu, nel 1959, la concessione alla lira dell'Oscar per la più solida moneta dell'Occidente.

Ma dagli anni Settanta, per ragioni interne e internazionali, l'economia italiana cominciò il suo declino, in un clima di crisi sociale e politica (contestazione e terrorismo). La dilatazione della spesa pubblica, per sostenere e incrementare un welfare state spendaccione (legge sulle pensioni e riforma sanitaria), e per continuare a pagare i debiti di una industria di stato deficitaria incrementò l'aumento dei prezzi e della disoccupazione. Nessun governo riuscì a invertire il declino e l'aumento del debito pubblico (nel 1970 era di 13 milioni di euro, poi la crescita costante ogni anno). Tanto che la spaventosa crisi economica del 2008 ci trovò meno preparati ad affrontarla. Cominciarono in quella data i nostri giorni difficili. Come si esprime il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco in un suo agile saggio appena uscito: Anni difficili. Dalla crisi finanziaria alle nuove sfide per l'economia (Il Mulino, pp. 232, euro 16).

La cui tesi di fondo è: «i vincoli più stringenti provengono dall'alto livello del debito pubblico in rapporto a un prodotto che stenta a crescere a un ritmo soddisfacente». Di conseguenza il forte debito pubblico di 2089 miliardi di euro e l'alto rapporto debito-pil (132 %) ci rende più vulnerabili ed esposti alla volatilità dei mercati finanziari. È vero che non pochi paesi europei, anche grandi, sono in una situazione simile. Ma ciò implica che il primo compito di una manovra economica dovrebbe essere, anche per noi, quello di ridurre il debito, non già quello di aumentarlo nella speranza di compensarlo negli anni futuri con un aumento del pil. Le previsioni ottimistiche dei politici di governo, convinti di sanare l'aumento del debito pubblico con la crescita della produzione, sono utopie pseudoscientifiche.

Visco è invece convinto che l'aumento del pil nel 2018 sarà dell'1 % e nel 2019 scenderà allo 0.9: «Il divario di crescita tra l'Italia e il resto dell'area dell'euro è un problema strutturale che non può essere risolto con politiche di stabilizzazione monetaria e con una espansione del bilancio pubblico. La sua causa principale è la bassa produttività delle imprese, che hanno risposto con un ritardo al drastico cambiamento tecnologico avviatosi un quarto di secolo fa. In questo periodo le imprese italiane hanno innovato in misura generalmente insufficiente e sono cresciute poco».

La ricetta di Visco ha un nome: Socrate. Egli ci ha insegnato che esiste solo un bene, la conoscenza, e che l'ignorante non deve occuparsi di politica. Occorre, dunque investire nella conoscenza, per dare risposta alla globalizzazione e alla innovazione, per non restare indietro nella crescita. Aiutare i poveri è un dovere, ma «occorre evitare di scoraggiare la ricerca di un lavoro regolare». Visco non è né un politico, né un imprenditore, né un giornalista. E' interessante sapere che il suo libro, giunto in libreria il 18 ottobre, è stato consegnato alle stampe prima che si conoscesse la manovra formulata dal governo giallo-verde. Della quale è una indiretta e pertanto scientifica confutazione. Di certo egli si è accorto che l'animus dei partiti di governo, soprattutto nel M5S, è la critica e anche la lotta alle imprese, alle banche, ai mercati.

Di Maio, nonostante sia un membro ufficiale del governo, ha offeso anche il presidente della Bce Mario Draghi, «avvelenatore del clima», e gli imprenditori li ha chiamati «prenditori». Purtroppo i fatti smentiscono le utopie governative. La fuga degli investitori dalla Borsa italiana e dai Btp parla da sola. Le quotazioni azionarie delle banche, che erano cresciute prima di maggio del 13 % si sono ridotte del 35 %. E le esportazioni decrescono. Mentre aumenta il trasferimento di capitali italiani all'estero.

Il libro di Visco sa evitare facili ottimismi e sterile pessimismi: «Un aumento improduttivo del disavanzo finirebbe col peggiorare le prospettive delle finanze pubbliche, alimentando i dubbi degli investitori e spingendo più in alto il premio per il rischio sui titoli di Stato. Il rapporto tra debito pubblico e produzione potrebbe rapidamente portarsi su una traiettoria insostenibile».

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