La lucida follia dei gilet gialloverdi

Lega e M5s si schierano con gilet gialli e ruspe anti Macron dimostrando che i balconari della chiusura hanno capito i nuovi confini del mondo meglio dei teorici dell’apertura. Contro gli hooligan della politica: W Edouard Philippe

di Claudio Cerasa 7 Gennaio 2019 www.ilfoglio.it

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Balconaro e Cialtronaro. Due giorni dopo le violente scene di Parigi – e due giorni dopo le immagini dei gilet gialli pronti a sfondare con una scavatrice la porta del ministero dei Rapporti con il Parlamento mettendo in fuga il portavoce del governo francese e alcuni suoi collaboratori – Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno scelto di inviare un doppio messaggio di solidarietà utile a rendere esplicita la vicinanza del governo italiano non alle istituzioni ferite della Francia ma al popolo in lotta contro le istituzioni francesi. Matteo Salvini, che per un giorno avrà forse tenuto la sua ruspa nel parcheggio del Viminale, lo ha fatto “condannando ogni episodio di violenza” ma dando assoluto “sostegno ai cittadini che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo”. Luigi Di Maio lo ha invece fatto senza condannare alcun episodio di violenza, invitando anzi i gilet gialli “a non mollare”, promettendo da parte del M5s pieno “sostegno” e ricordando che lo spirito che anima i ribelli è “lo stesso spirito che ha animato il Movimento 5 stelle fin dal 4 ottobre del 2009”.

Il sostegno esplicito del governo della settima potenza industriale del pianeta a un movimento che nel giro di pochi mesi, prima di provare a buttare giù con una ruspa la porta di un ministero, ha tentato di incendiare un locale della Banque de France, ha provato a linciare alcuni poliziotti con pietre e oggetti contundenti, ha creato danni nella sola Parigi per quattro milioni di euro, ha lanciato sassi contro gli agenti antisommossa, ha costretto le forze dell’ordine ad arrestare 117 manifestanti la prima settimana, 101 la seconda, 412 la terza, 1.723 la quarta, 220 la sesta settimana, non ci dice molto solo rispetto alla natura profonda e pericolosa dei gilet gialloverdi italiani, alla facciazza bella di chi ogni giorno tenta di dimostrare che Di Maio e Salvini galoppano veloci verso la normalizzazione e la moderazione. Ci dice qualcosa di più profondo, di più importante rispetto ai mesi che ci separano dalle elezioni europee di fine maggio. Qualcosa che non riguarda solo la Francia, ma tutti i paesi che ogni giorno tentano di capire in modo più o meno sincero di cosa sono fatti quei movimenti che hanno trasformato le proprie battaglie antisistema nella nuova frontiera della difesa del popolo.

Ci si potrebbe limitare a dire che chi delegittima le istituzioni e chi attenta alla loro sopravvivenza meriterebbe di essere condannato, non appoggiato, e ci si potrebbe limitare a dire che di fronte a un ministero preso a colpi di ruspa un governo con la testa sulle spalle avrebbe il dovere di incoraggiare il capo di un’altra nazione ad agire con fermezza per arginare ogni forma di violenza. Ma i gilet gialli, con le loro rivolte, con le loro rivendicazioni, con la loro violenza, con il loro complottismo, con la loro capacità di rielaborare il machiavellismo facendo diventare il mezzo brutale non una giustificazione del fine ma il fine stesso della propria battaglia politica, sono lì a testimoniare un fenomeno gigantesco di fusione a freddo tra culture solo apparentemente distanti l’una dall’altra, che come dimostra il caso italiano hanno fatto della rivendicazione della chiusura e della lotta contro l’europeismo l’essenza della propria identità politica. Lo scontro tra Macron e il movimento dei gilet gialli non è dunque solo uno scontro tra un presidente indebolito e un movimento rumoroso, ma è uno scontro che, come ha giustamente notato lunedì il direttore di Libération Laurent Joffrin, disegna in modo chiaro i nuovi confini della politica e porta tutti quanti noi a scegliere – tappandoci più o meno il naso – da che parte del mondo desideriamo stare. I più furbi, e i più furbetti, provando a sfruttare il calo di popolarità di Macron, tendono a ridurre l’entità dello scontro a una battaglia tra un popolo indignato e un presidente non amato.

Ma la verità la si può intuire in modo più trasparente allargando la nostra inquadratura e rendendoci conto che non è un caso se il movimento dei gilet gialli è riuscito a mettere insieme non soltanto la Lega, il Movimento 5 stelle, CasaPound, la sinistra corbyniana, i Teletubbies del putinismo europeo ma anche il meglio o il peggio dello stesso extrémisme politique, da Jean-Luc Mélenchon a Marine Le Pen, che nel 2017 provò a evitare l’affermazione in Francia di un presidente desideroso di riformare il suo paese in nome della produttività, della globalizzazione, dell’apertura dei mercati, della difesa dell’Europa. Lo scontro tra Macron e i gilet gialli disegna i confini della politica sovranista europea e ci mostra in modo chiaro chi, in nome di un distruttivo ideale sfascista, accetta di abbracciare simbolicamente una grande contro-rupture rivolta non tanto alla figura di Macron ma a tutti gli ideali rappresentati dal presidente francese. E’ un assaggio delle elezioni europee perché, al netto dei gruppi parlamentari, delle alleanze politiche, delle candidature alla presidenza della Commissione la dialettica tra chi sostiene l’apertura e chi sostiene la chiusura sarà al centro della composizione del prossimo Parlamento europeo e anche della prossima campagna elettorale europea.

Chi si trova dalla parte della chiusura, compresi il nostro Balconaro a cinque stelle e il nostro Cialtronaro in felpa, ha perfettamente capito i termini della sfida e non perde occasione per soffiare sul vento della protesta antisistema. Chi si trova invece dalla parte dell’apertura non ha ancora capito i termini della sfida, continua a spaccare in quattro il capello, continua a ragionare con schemi del passato, continua a cercare di difendere la propria identità attaccando i vecchi amici più che i nuovi nemici. Lo scontro tra i gilet jaunes e Macron è certamente uno scontro traumatico, ma ha il merito di ricordarci una verità semplice: nell’Europa del futuro non si può non scegliere da che parte stare. E scegliere da che parte stare significa anche scegliere se stare o no dalla parte di un primo ministro francese come Edouard Philippe, che finalmente lunedì sera, in diretta al tg delle 20, ha promesso una linea dura contro la violenza dei gilet gialli. “Coloro che minacciano le istituzioni, che saccheggiano, che bruciano, non avranno l’ultima parola. Faremo come qualche anno fa ci si comportò con gli hooligan negli stadi: furono identificati e fu loro vietato di partecipare a quelle manifestazioni, le partite”. E scegliere di stare dalla parte dell’Europa mai come oggi significa scegliere di non stare dalla parte degli hooligan e non essere complici delle ruspe che hanno scelto di trasformare l’Europa in un sogno da abbattere come il muro di un ministero francese

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tearm

08 Gennaio 2019 - 00:12

Bisognerebbe interrogarsi sulla profonda divisione che esiste tra il popolo. Una massa di frustrati anti-democratici da una parte -di destra o di sinistra fa poca differenza- e dall'altra chi cerca di non scaricare le proprie frustrazioni sul prossimo e anzi si rende ben conto che è un privilegio essere nati in un'Europa democratica e liberale che, solo per fare un esempio, salva le banche quando c'è bisogno di salvarle. E comunque se gli sfascisti vogliono la guerra sarebbe anche il caso di fargliela provare veramente cosa è la guerra. Non svegliamoci ora, in una democrazia i governi sono sempre legittimi e chi mette in dubbia la legittimità dei governi -come hanno fatto per cinque anni Salvini e Di Maio- è un nemico della democrazia. Tanto più che Salvini e Di Maio sono arrivati al potere democraticamente perchè i loro avversari -a differenza loro- rispettano la democrazia e non si sognerebbero mai di mettere in discussione la legittimità del voto come un Pietro Pelù qualsiasi.

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RispondiDBartalesi

07 Gennaio 2019 - 22:10

Tout ne va pas tres bien, monsieur le directeur...et allors? Allora bisogna cercare di tirare fuori dal cappello qualche coniglio nuovo, per dire. Cominciare almeno a immaginare nuove forme di democrazia. Ce lo chiede la ragione ma soprattutto il popolo che sembra aver preso la strada anti sistema. Da noi, da loro, un po'dovunque nel mondo industrializzato e globale. Cambiare per non soccombere. Far partecipare chi si sente escluso. Non basta l'esecrazione degli infami. Da noi, nella vecchia Italia, piacerebbe un centro moderato, fatto da ex PD, FI e radicali che riprendesse l'idea di una costituzione Federalista. E cercasse di portare verso questa nuova forma di Stato, che si immagina più partecipativa per popoli, regioni e municipalità diverse, il leghista ora sovranista e anti sistema Salvini. Un coniglio ben strano, bipartisan che però potrebbe salvarci dal disastro. Fare capire che per superare questo momentaccio ci vuole il coraggio di tutti per un grande cambiamento.

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RispondiMarce

08 Gennaio 2019 - 11:11

Commento molto raramente gli articoli del foglio ma questa volta mi pare intresssante quando lei scrive: "Far partecipare chi si sente escluso". Io ho sempre pensato che la partecipazione nascesse dal basso, ovvero e' il sigolo cittadino che deve interessarsi e chiedere non aspettare di venir interpellato. Vedo in questi movimenti piu' che partecipazione civile, partecipazione messianica, in cui si partecipa per fare massa non per dare idee

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