Ponte Morandi, la perizia svizzera: non fu la rottura degli stralli a causare il crollo

Occhio ai giudizi affrettati. La perizia dell’Empa ribalterebbe le tesi di Toninelli e del ministero delle infrastrutture: gli stralli si sono rotti dove non erano corrosi, quindi le cause del crollo vanno cercate altrove. E pure le responsabilità, finora attribuite ad Autostrade

Redazione 26.1.2019 www.linkiesta.it

Gli stralli non sarebbero la causa del crollo del Ponte Morandi.

Questo è quel che direbbe la perizia dell’Empa, il laboratorio svizzero incaricato dall’autorità giudiziaria di esaminare i reperti provenienti da Genova. Che, come riportava ieri il Sole24Ore, ha documentato con foto e analisi come la parte di strallo che si è rotta mostri “evidenti differenze” rispetto al caso di un cedimento strutturale. In altre parole: gli stralli del viadotto dell’A10 erano sì corrosi, ma si sarebbero rotti nella parte “sana”. La causa del crollo del ponte andrebbe quindi ricercata altrove, nel cedimento di un’altra componente che avrebbe poi forzato lo strallo.

Non è una novità da poco, nell’accertamento delle responsabilità sulla tragedia del 14 agosto scorso: di fatto, tutto l’impianto accusatorio del ministro Toninelli e del ministero delle infrastrutture e trasporti contro Autostrade per l’Italia si fondava su questa ipotesi: che a cedere fosse stato l’impalcato del cassone - la parte che sosteneva la carreggiata proprio in corrispondenza del pilone con stralli - a causa della rottura di uno dei medesimi. Così fosse stato, sarebbe stata chiara la responsabilità di Aspi, relativa alla manutenzione del sistema e degli stralli, per l’appunto.

Le ragioni del crollo - dice la perizia, ad oggi disponibile solo in tedesco - sarebbero da cercare invece in un'altra componente, che poi avrebbe forzato lo strallo: l’impalcato a cassone, in altre parole, sarebbe ceduto a causa di un fattore esterno. Tra le ipotesi era circolata anche quella della caduta sull’asfalto di una pesante bobina di metallo trasportata da un autoarticolato

Così pare non essere, invece. Le ragioni del crollo - dice la perizia, ad oggi disponibile solo in tedesco - sarebbero da cercare invece in un'altra componente, che poi avrebbe forzato lo strallo: l’impalcato a cassone, in altre parole, sarebbe ceduto a causa di un fattore esterno. Tra le ipotesi era circolata anche quella della caduta sull’asfalto di una pesante bobina di metallo trasportata da un autoarticolato.

Sembra incredibile, ma non è un fulmine a ciel sereno: già in precedenza Giuseppe Mancini, coordinatore dei periti di Autostrade per l'Italia e professore ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso il Politecnico di Torino, aveva dichiarato che «quello che è finora emerso dalle analisi di Zurigo sembrerebbe confermare che il cedimento degli stralli non sia la causa primaria del crollo del Ponte», aggiungendo che «Interpretando quanto riportato nella nota del laboratorio di Zurigo, con una corrosione media del 50% della totalità della sezione resistente dei fili ci sarebbe ancora un ampio margine di capacità resistente, tale da non poterne causare la rottura».

E ancora, a dicembre, nel corso di una conferenza un altro accademico, era stato il professor Gianmichele Calvi, ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università di Pavia ed esperto internazionale di tecniche della costruzione e di ingegneria sismica, a sostenere che «Per arrivare a far collassare uno strallo come questo è necessario ridurre del 70% tutti i cavi che stanno al suo interno. È un numero così alto che è difficile pensare che possa essere stato questo ciò che è avvenuto perché fino a quel punto si hanno grandi spostamenti, ma l’impalcato resta in piedi”, dichiarazioni formulate da Calvi anche simulando le cause del crollo del Ponte Morandi grazie all’utilizzo di un innovativo software di analisi strutturale. La verità sulle origini della tragedia è ancora lontana, insomma, ma da oggi abbiamo qualche certezza in più. Una su tutte: attenzione ai giudizi affrettati.

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