Se ci fosse stato un processo contro i gerarchi fascisti come quello di Norimberga, tutto sarebbe più chiaro

Non lo vollero gli antifascisti per consentire ai fascisti di far finta di non esserlo mai stati

di Antonino D'Anna 18.5.2019 www.italiaoggi.it

Franco Carinci (su ItaliaOggi del 16 maggio) ha scritto un interessante dialoghetto sul rischio del ritorno del fascismo. Nel suo intervento uno dei suoi personaggi, il saggio Sagredus, osserva parlando di un eventuale spostamento della tomba di Benito Mussolini: «A proporla, una cosa simile, scatenerebbe una ondata di simpatia umana in questa nostra Italia, in cui le ossa dei morti vanno lasciate riposare in pace, qualunque sia il giudizio su quel che han fatto da vivi». E ancora: «Mi sembra che sia un tantino eccessivo far tanto baccano per dieci, quindici giovinastri che a Milano srotolano uno striscione, se ben ricordo, col nome di Mussolini».

Dette in un Paese normale queste parole suonerebbero persino ovvie. Ma in Italia diventano incandescenti. Carinci però dice delle cose corrette: spostare la tomba di Benito da Predappio in qualche altro punto del Paese (come ridicolmente vogliono fare i socialisti con Francisco Franco in Spagna: solo la famiglia Franco potrebbe seppellirlo in pieno centro a Madrid, con tanto d'imbarazzo per la Chiesa cattolica) non farebbe altro che rinfocolare l'attenzione e appunto la simpatia verso il defunto Duce. Meglio lasciar le cose come stanno.

Il fatto è che il 28 aprile del 1945 a Piazzale Loreto non si compì un atto di giustizia, ma solo di vendetta. La storia, per essere tale, ha bisogno di punti fermi a dire stop, basta, finito. La Germania non ha potuto processare Adolf Hitler, è vero: ma i suoi gerarchi, corresponsabili di un dramma come la Shoah, vennero processati, giudicati e giustiziati secondo i casi. Fu, il processo di Norimberga, un atto di giustizia e non la vendetta dei vincitori sui vinti. Come fu un atto di giustizia processare Adolf Eichmann a Gerusalemme nel 1962 e mandarlo a morire impiccato. Tutti poterono vedere la faccia di un grigio burocrate, un anonimo e asettico individuo che aveva diligentemente pianificato ed eseguito l'annientamento in scala e con metodi industriali di esseri umani come ognuno di noi: me, te, noi tutti. Eichmann con i suoi occhialetti, la barba fatta, la cravatta annodata e l'impassibilità mentre sfilavano le sue vittime sul banco dell'accusa. Ma fu un punto fermo.

In Italia tutto questo non c'è stato. Se Mussolini fosse comparso, vivo e vegeto, in un'aula di tribunale e fosse stato processato, se le testimonianze, i dolori, le sofferenze fossero passate innanzi ad accusa e difesa, se egli stesso avesse potuto parlare, l'Italia avrebbe fatto i conti col Ventennio e posto la parola fine a questa storia. Non accadde. Tra giustizia e vendetta c'è un confine molto labile che Piazzale Loreto, con il suo macabro show, ha attraversato passando nel campo di quest'ultima. Fu una vendetta che venne gabellata come un «abbiamo fatto bene» a coprire la presunta giustizia proletaria eseguita a Giulino di Mezzegra o forse no, con l'oro di Dongo sparito chissà dove o forse no, con i documenti veri o presunti cercati da Winston Churchill o forse no. Da allora è un perpetuarsi di quella vendetta. Lo è nel mettere le foto di Giorgia Meloni a testa in giù (ditemi come possa essere fascista una donna nata nel 1977) o nel cacciare l'editore Altaforte dal Salone del Libro di Torino. Ed è questa vendetta che ossessiona in mancanza d'altro la sinistra attuale, rimasta senza idee e senza identità, in piena confusione mentale. Un esempio? Nicola Zingaretti che plaude a monsignor Konrad Krajewski, cardinale elemosiniere elettricista di Papa Francesco, ma si dice favorevole ad una legge sull'eutanasia. Un cortocircuito, per restare in tema.

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