LEOLUCA ORLANDO LASCIA LA COMMEMORAZIONE DI FALCONE PERCHÉ NON VUOLE INCONTRARE SALVINI

ORLANDO È LO STESSO CHE NEL 1990 ANDÒ DA SANTORO AD ACCUSARE FALCONE DI INSABBIARE LE INDAGINI SU RIINA? Un libro

Mattia Feltri per ''La Stampa'' 24.5.2019 da Dagospia.com

IL LEOLUCA ORLANDO CHE LASCIA LA COMMEMORAZIONE DI FALCONE PERCHÉ NON VUOLE AVERE NIENTE A CHE FARE CON SALVINI È LO STESSO CHE NEL 1990 ANDÒ DA SANTORO AD ACCUSARE FALCONE DI INSABBIARE LE INDAGINI SU RIINA? - ULTIMO RACCONTA IL GIORNO DI CAPACI NEL LIBRO DI PINO CORRIAS: “TUTTI SAPEVANO CHE FALCONE DOVEVA MORIRE E MOLTI SE LO AUGURAVANO”

Ultimo racconta il giorno di Capaci nel libro “Fermate il capitano Ultimo!” di Pino Corrias, appena pubblicato da Chiarelettere

Si tollera tutto, di questi tempi, ma proprio tutto, e si tollererà pure questa, pure il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che lascia la commemorazione di Giovanni Falcone perché non vuole avere niente a che fare col ministro dell' Interno, Matteo Salvini, venuto a lucrarci sopra qualche voto. Ha detto proprio così, Leoluca Orlando, ed è fantastico.

Proprio il Leoluca Orlando che nel 1990 andò da Michele Santoro a Samarcanda a dire che voleva vedere colpiti i mandanti degli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre e Giuseppe Insalaco e che le prove stavano dentro i cassetti del palazzo di giustizia di Palermo, cassetti che restavano sigillati. Indovinate con chi ce l' aveva? Con Giovanni Falcone, era lui l' insabbiatore, e Falcone s' infuriò, disse che se Orlando sapeva chi erano i mandanti doveva dirne nomi e cognomi, sennò era un solo un pessimo modo di fare politica usando la giustizia.

Ma Orlando i nomi non li fece. E un anno più tardi, dopo una lunga campagna contro Falcone, concesse un colloquio all' Unità per ripetere che la verità dell' alleanza fra politica e mafia era seppellita in tribunale, una verità sistematicamente occultata, mai salita a verità processuale, ed era ora che il coperchio della procura saltasse.

Saltò Falcone, invece, saltò in aria il 23 maggio 1992, e già Orlando era lì, a piangere l' amico, l' eroe, il servitore dello Stato, e sarebbe tornato il 23 maggio successivo e per ventisette anni di fila, fino a ieri, e ogni volta qui risuonavano le parole di Maria Falcone, sorella di Giovanni, indirizzate a Orlando: «Hai infangato il suo nome, la sua dignità, la sua onorabilità».

Ultimo: «Quel giorno, alle sei e mezza del pomeriggio, è arrivata la prima notizia dell’attentato a Falcone e alla sua scorta. Ero in ufficio alla Moscova e c’era il sole che entrava obliquo dalla finestra. Mi ricordo il silenzio e la luce che metteva in rilievo le cose conferendo loro una profondità nuova, come se tutte fossero parte di una scultura.

«Mi ricordo le notizie che arrivavano di minuto in minuto. Falcone è ferito, ma vivo. Falcone è gravissimo. Falcone è morto. E poi mi ricordo che tutti gli uominidella squadra erano arrivati un po’ alla volta in ufficio. Alla fine era venuta anche la Boccassini, che si era seduta sconvolta ed era scoppiata in lacrime.

«Quella sera io e lei, con Nello e Barbaro, siamo andati a Palermo, ultimo volo Alitalia, classe economica. C’era la luce rossa del tramonto lungo il tragitto. Nessun pensiero, troppi pensieri, tutti sapevano che Falcone doveva morire e molti se lo auguravano. Siamo atterrati alle undici di sera. Ci aspettavano due macchine, siamo corsi all’obitorio del Policlinico. La prima cosa che ho visto, entrando, è stata il sacco coi vestiti dei tre poliziotti morti. E accanto al sacco, sul pavimento, le scarpe spaiate.

Poi c’era la porta metallica e, dietro la porta, la tavola d’acciaio con Giovanni Falcone coperto per metà da un lenzuolo. Sembrava dormisse. Volevo piangere, ma non ci sono riuscito. Volevo gridare, ma sono rimasto in silenzio. Abbiamo guardato in faccia il giudice e gli altri morti, i valorosi caduti nella battaglia.

«Dopo una brutta notte siamo andati all’alba sul luogo dell’esplosione, che era diventato un territorio di guerra pura. Abbiamo fatto i rilievi con i poliziotti e un sopralluogo fino al mandorlo che stava a metà montagna, sotto al quale il commando ha aspettato le auto di Falcone e ha attivato il telecomando. C’erano i rami tagliati, per migliorare la visuale dell’autostrada, e i cinquantatré mozziconi di sigarette, da cui l’Fbi estrarrà il Dna di Brusca e degli altri uomini del commando. Abbiamo fotografato tutto.

«Quando siamo rientrati a Milano abbiamo cominciato le riunioni operative con il colonnello Mori e il maggiore Mauro Obinu. L’ordine era di preparare una squadra e scendere a Palermo, tenerci lontani dalle parate militari Mche si stavano allestendo a favore di telecamera, infilarci nel sottosuolo della città e catturare Riina una volta per tutte”.

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