Appalti pubblici, andava meglio col Genio civile

La politica degli appalti nel settore delle opere pubbliche è andata avanti come i gamberi. In definitiva si è riformato per riuscire a fare peggio

di Domenico Cacopardo 1.6.2019 www.italiaoggi.it

Nel Paese di «Moltospendi», attualizzazione dello storico «Bengodi», ha conquistato i titoli dei giornali l'imminente intervento della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale della più grande azienda di costruzioni italiana, la Salini. Risultato, la Salini, di una crescita per acquisizioni che le ha dato la palma di n. 1 del fatturato italiano di settore. La sensazione è che la Cassa Depositi e Prestiti, nell'attuale gestione grillo-leghista, stia assumendo i compiti che, dopo la crisi del '29, Mussolini comandante e Alberto Beneduce timoniere, vennero affidati all'Iri, un istituto che per un trentennio svolse una funzione vitale per lo sviluppo e l'occupazione, salvo poi collassare per una serie di ragioni, non tutte politiche.

 

Questa opzione statalista mostra in modo palpabile come la classe di governo vagheggi una sorta di ritorno a un passato mitico che non è stato mitico, ma una storia di continue ricapitalizzazioni pubbliche, a spese cioè del bilancio dello Stato e in deficit.

Gli effetti di questa scelta non li vedremo ora, quest'anno o il prossimo, ma più in là. Per ora nei ministeri si gongola per i risultati immediatamente positivi delle surrettizie nazionalizzazioni cui assistiamo settimanalmente. Ora che la Cassa Depositi e Prestiti entri nel capitale di una grande impresa di costruzioni, significa che il suo soccorso serve a ovviare allo storico handicap delle imprese: la sottocapitalizzazione. Una delle cause delle anomalie del mercato delle costruzioni in Italia.

Nel mondo, e lo sanno bene i costruttori che partecipano ai tender internazionali, la «funzione» finanziaria precede e condiziona la performance costruttiva. Tanto è vero che un numero sempre maggiore di opere fruiscono dell'«ingegneria finanziaria», cioè della definizione di un progetto che affronti, prima di tutto, il problema delle disponibilità necessarie per realizzare un'infrastruttura e lo risolva con marchingegni tecnici che assicurino oggi la disponibilità dei soldi che saranno incassati domani o dopodomani.

E c'è un altro aspetto da mettere in evidenza, quello delle garanzie. Un orecchio dal quale i protagonisti del settore non ci sentono affatto in Italia, visto che all'estero sono costretti a subire un regime piuttosto ferreo. Per spiegare, ricorro al metodo nasometrico di cui parlava il compianto Giovanni Goria: nel mondo per ottenere un appalto di valore 100 occorre prestare una garanzia di 100; in Italia per ottenere un appalto del medesimo valore devi prestare una garanzia di 10, pari all'entità di uno stato di avanzamento.

Da noi si dice che la garanzia deve coprire il valore dei lavori che in un certo periodo vengono realizzati. Questa opzione, significa che un'azienda che ha una capacità finanziaria di 100 nel mondo può concorrere a un appalto di 100. In Italia un'azienda della stessa capacità può concorrere a 10 appalti del valore di 100, dovendo prestare 10 garanzie da 10.

Il sistema rigoroso comporta una serie di conseguenze virtuose: i ribassi sono strettamente adeguati alle possibilità imprenditoriali del concorrente; i meccanismi varianti e revisioni prezzi possono essere limitati, dato che l'esposizione finanziaria ha un costo e l'operatore tra le sue priorità ha quella di finire prima possibile l'opera, in modo da rientrare dal suo rischio. Ripeto, si tratta di nasometria idonea a rendere un'idea.

Dall'altro lato c'è lo Stato. Nell'Italietta del dopoguerra e del Genio civile, l'appalto di un'opera aveva tre fasi obbligate: progetto di massima per l'individuazione del costo approssimativo e l'accantonamento in bilancio; la progettazione (all'interno del quale dovevano essere risolti i problemi geologici, idraulici, amministrativi), la gara. Talché, il concorrente, dopo avere dichiarato di avere preso adeguata visione dei luoghi (e quindi accertato la corrispondenza delle scelte progettuali alla situazione geologica, idraulica, sismica ecc.), poteva concorrere esprimendo un'offerta ragionata sulla base di un progetto che per comodità si sarebbe poi chiamato esecutivo.

Dopo il 1970, con l'ingresso in campo delle regioni, il sistema è stato devastato. Il ministero dei Lavori pubblici, oggi Infrastrutture, aveva perso ogni capacità progettuale e, quindi, l'arraffo iniziava dalle progettazioni. E seguiva nell'affidamento di opere poco progettate, e quindi bisognose di aggiustamenti strada facendo. Dal che, la nascita e lo sviluppo dei meccanismi corruttivi amministrativi e politici.

Il codice degli appalti Delrio-Cantone ha, se possibile, complicato ulteriormente le cose. Sarebbe bastato definire per legge un time-out (che oggi sarebbe già felicemente trascorso) per imporre alle amministrazioni di programmare e di progettare, dotandole dei soldi necessari per pagare progettazioni esecutive e appaltabili. Senza i barocchismi di una sistematica legislativa turbata dalla scarsa conoscenza del diritto amministrativo e dalla vocazione a ricorrere alle categorie del diritto penale.

Oggi, naturalmente getteremo il bambino con l'acqua sporca e ricominceremo daccapo, chiudendo gli occhi sulle possibile devianze e corruzioni, per puntare alla rapida apertura dei cantieri (che poi saranno immancabilmente sequestrati dall'Autorità giudiziaria penale quando emergeranno le immancabili magagne). La Cassa Depositi e Prestiti ha scelto di investire capitale nelle imprese di costruzione per sopperire alla storica carenza del settore.

Certo, ci vorrebbe un doppio senso di responsabilità nell'investire, visto che i soldi della Cassa sono i risparmi di decine di migliaia di piccoli risparmiatori postali. E altrettanto senso di responsabilità nel pretendere dalle società partecipate una proiezione esterna (il mondo trabocca di opere da fare) e un vincolo morale, volto a impedire, dall'interno, il ricorso alla scorciatoia della corruzione.

Per memoria, per me, per i nostri lettori e, soprattutto per gli apprendisti stregoni insediati nelle stanze di governo voglio ricordare che non si può distribuire la ricchezza che non c'è. Bisogna prima crearla, la ricchezza e, poi, dopo averla reinvestita nella giusta misura, distribuirla.

 

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