Ong con la criminalità scafista

Bloccati i porti, adesso va disciplinata l'immigrazione

di Domenico Cacopardo, 26.6.2019 www.italiaoggi.it

Un discorso politico, di certo non partitico, è ciò merita il caso «Sea Watch». Un ragionamento che precede tutto il resto che, peraltro, non tralasceremo.

Un paio di settimane fa, l'imbarcazione «Sea Watch 3», ha raccolto qualche decina di migranti al largo della Libia. Le autorità di quel paese si sono dichiarate disponibili ad accogliere la nave e il suo misero carico umano. Ma l'ong tedesca, che ha noleggiato il natante, e la comandante dello stesso Carola Rackete hanno respinto la proposta per fare rotta sull'Italia.

Nonostante abbiano forzato i motori, sono arrivate nelle nostre acque territoriali quando il nuovo decreto sicurezza (che amplia i poteri del governo in materia di accoglienza) era appena entrato in vigore. Legittimamente, perciò e secondo quanto dichiarato dal Tar cui l'ong s'era rivolta, lo Stato italiano ha rifiutato alla «Sea Watch 3» l'ingresso nelle nostre acque territoriali e l'accesso a qualsiasi porto.

Sono passati 14 giorni da quando la nave che batte bandiera olandese ed è noleggiata dall'omonima ong tedesca, è alla fonda al largo di Lampedusa. Il complesso e vasto meccanismo di sostegno del sistema di soccorso, s'è mosso sino a inoltrare ricorsi individuali alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, organo estraneo all'Unione europea.

Perché questi ricorsi abbiano qualche effetto è necessario che la Corte li dichiari procedibili. E, quindi, sembra improprio l'annuncio che entro ieri ci potrebbe essere stata una decisione che, contro le posizioni del governo italiano, dovrebbe avere imposto l'accesso dell'imbarcazione.

Vista in questi termini formali e politici, l'operazione imbastita dall'ong «Sea Watch» costituisce una sfida alle leggi che uno stato nazionale si è legittimamente e liberamente dato. E, come tale, non ha diritto di ingresso o di successo, dato che i migranti raccolti dalla nave hanno perso la loro specifica fisionomia e sono diventati prigionieri della ong, che invece di sbarcarli, come prevedono le norme internazionali, nel porto più vicino, li ha costretti a viaggiare verso il nostro Paese.

Bon gré mal gré questa è la situazione giuridica e politica nella quale si sono cacciati natante e titolare del nolo e, vittime di manipolazione, i poveri disgraziati imbarcati in prossimità della Libia.

Credo che sia impossibile che lo Stato ceda. Ceda alle ciniche pressioni dei cosiddetti soccorritori, impegnati in una battaglia politica contro il governo italiano e l'Italia, per riaffermare il loro inesistente diritto di fornire appoggio ai trafficanti di uomini, raccogliendoglieli in mare. Se l'Italia cedesse, si renderebbe, di fatto, complice di un sistema nel quale la criminalità libica sguazza e si arricchisce.

Ed è inaccettabile la cinica strumentalizzazione di cui sono vittime i migranti. Qui non si tratta del partito A o del partito B. Non si tratta dei principi di carità riproposti dalla Chiesa, dal suo papa e da alcuni vescovi. Non è la carità in questione.

È in questione il favoreggiamento di un fenomeno criminale che specula sull'aspirazione di centinaia di migliaia di africani di migliorare le loro condizioni di vita venendo in Europa, attraverso la scorciatoia, appunto, criminale. Credo che, in definitiva, la severità attuale possa diventare un passaggio obbligato per un nuovo, accettabile regime delle migrazioni.

In un momento di ragionevolezza, il medesimo Papa Bergoglio ebbe a dichiarare che ogni accoglienza trova un limite nelle concrete e reali possibilità di accogliere. Ciò significa che l'Europa (e l'Italia con essa) possono-debbono definire un sistema di contingenti che spinga verso il continente gente specializzata, delle specializzazioni di cui c'è necessità, in numeri accettabili. Una regolarizzazione che spingerebbe gli aspiranti alla migrazione a migliorare la loro formazione culturale e professionale nei paesi di origine e di residenza. Un modo efficace per aiutarli a casa loro, secondo il vecchio e dimenticato slogan in vigore qualche decennio fa.

Ora, non importa quale sarà la decisione della Corte di Strasburgo. Conta per gli esponenti dell'ong per l'effetto propagandistico nell'ipotesi che desse loro ragione. L'Italia non perde nessuno dei propri diritti di stato nazionale. Ma per non cedere al ricatto morale, posto lucidamente e cinicamente in atto, ci vuole consapevolezza delle proprie ragioni politiche, sociali e, diciamolo pure, morali.

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