Quando i rubli del Pci erano una cosa seria

Gianni Cervetti “pensava in russo e traduceva in italiano”. Ogni anno bussava alla porta di Mosca (la Dc lo faceva in America). Oggi spiega la politica di quel mondo bipolare. E lo paragona, senza moralismi, con i pericoli di oggi

di Salvatore Merlo12.7.2019 www.ilfoglio.it

Roma. “Mi chiede se sono stupito dal fatto che nel 2019 ancora si parli di fondi russi a un partito italiano? Di interferenze nella nostra vita democratica? No, non sono stupito. Ma penso che le degenerazioni di oggi le dovremmo saper affrontare con la capacità di trarre qualche lezione dal passato. E invece tutto, anche la storia, diventa occasione di battaglia politica immediata”. Si fanno paragoni tra il finanziamento sovietico del Pci e i presunti denari di Vladimir Putin alla Lega sovranista di Matteo Salvini. “Sono storie completamente diverse. Contesti diversi. Mondi imparagonabili. Volersi astrarre dalla condizione in cui ci si trovava allora, e giudicare, non è possibile. La storia va capita. Di sicuro c’è che una democrazia finanziata dall’estero è una democrazia condizionata”.

Nato nel 1933, ottantacinque anni, milanese, laureato in Economia a Mosca, membro della segreteria nazionale del Pci negli anni Settanta, Gianni Cervetti era “l’uomo dei rubli”. Nel partito dicevano che pensava in russo e traduceva in italiano. Lo ha rivelato lui stesso, nel 1991, in un libro intitolato “L’oro di Mosca: la verità sui finanziamenti sovietici al Pci raccontata dal diretto protagonista”.

Ogni anno Cervetti bussava alla porta dell’ufficio di un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo che si chiamava Boris Ponomariov. Il comunista italiano rappresentava le esigenze del Pci e, dopo qualche considerazione sull’entità della cifra, incassava dal comunista russo un assegno in dollari. “Noi eravamo finanziati dall’Urss. La Dc prendeva soldi dagli Usa. In Italia persino le scissioni sindacali si sono fatte con i quattrini stranieri. E’ noto e stranoto che gli americani finanziavano tutti i nostri sindacati tranne la Cgil. Si viveva in un contesto di subordinazione e di condizionamento fortissimi per la nostra democrazia e nel rapporto teso tra le forze politiche e sociali che la componevano al suo interno. Un condizionamento da cui noi, con Berlinguer, ci liberammo, e con estrema difficoltà, a partire dalla fine del 1975. Avemmo la forza o il buon gusto di concludere un rapporto antico perché si riteneva che i sovietici non dovessero più in nessun modo influenzare l’azione politica che si stava facendo. Non a caso la rinuncia ai finanziamenti russi coincise con fatti di natura politica. Berlinguer, con lo scudo della Nato, in quegli stessi anni, garantì la possibilità di costruire, come disse in una famosa intervista a Giampaolo Pansa, ‘il socialismo nella libertà’. Ci fu una svolta”. Il compromesso storico. Piccoli e grandi passi verso la realizzazione di una democrazia compiuta.

Oggi tornano le influenze straniere in Italia? “Non lo so. C’è un’inchiesta giudiziaria. Ci vuole prudenza”. Lei incontrava il mitologico Ponomariov, l’ambasciatore sovietico. “C’erano regole codificate. Ruoli. Pur nella segretezza. Me ne occupavo io, cioè un funzionario di partito di alto livello che rispondeva direttamente al segretario. E i rapporti passavano per via diplomatica. Da quello che leggo sui giornali, da quello che si capisce, qui c’è invece uno strano mondo di intermediari, facilitatori, mezze figure che fanno strani discorsi. Tra questi ci sarà anche chi si fa gli affari suoi. Non quelli del partito. Si coglie un modo di fare e di esprimersi piuttosto singolare, che indica i tempi, segna questi tempi. Il modo di allora lo potete giudicare tutti dai libri di storia. Il modo di fare di allora mi pare fosse improntato a una certa, non so come dire, ‘gravitas’. Il problema è come avvengono queste cose, e per quali scopi… Se hanno una loro complessità nelle ragioni e nelle forme. E qui mi viene da dire che quella complessità nelle ragioni e nelle forme apparentemente non c’è. Ma non voglio giudicare. Vedremo. Si è interessata anche la magistratura”. Perché lei raccontò tutto sui finanziamenti sovietici? Non sarebbe stato meglio nascondere, tacere? “Raccontai tutto perché ritenni una sorta di dovere quello di riflettere sinceramente sulla nostra storia. Per poterne trarre anche delle conclusioni”. Qualche insegnamento per il futuro. “Non sempre compreso”. A quanto pare.

Commenti   

#3 riki 2019-07-13 17:41
“Il Russiagate leghista visto dagli esperti di Putin e intelligence
Secondo gli analisti di Mosca, al Metropol c’erano imprenditori politici di secondo rango. E quella sull’audio non è l’impronta dell’intelligence. Il caso a raggi X.. I russi dell‘Hotel Metropol? Esponenti del partito di Putin, di livello piuttosto basso, che agivano in proprio per compiacere i loro capi e avere un tornaconto in carriera e magari in soldi, nel caso in cui l’affare si facesse davvero….” Riccardo Amati per www.lettera43.it
#2 riki 2019-07-13 11:42
Tiziana Parenti e la verità sui soldi russi in Italia: "Chi pagava Mosca in Italia. Savoini? Greganti gigante"
La Russia ha sempre pagato qualcuno. Grosse tangenti, soldi. E non solo al Pci". Tiziana Parenti, ex magistrato del pool Mani Pulite uscita per contrasti sulle indagini con Antonio Di Pietro, commenta sul Giornale la vicenda dei presunti finanziamenti russi alla Lega che avrebbe visto Gianluca Savoini, presidente dell'associazione Lombardia-Russia, trattare personalmente a Mosca con alcuni imprenditori petroliferi locali. E ricorda come "già negli anni Sessanta numerose cooperative facevano scambi culturali o import-export di facciata con l'Urss, tutti modi per giustificare in maniera lecita un finanziamento di un certo livello"…. Su liberoquotidiano.it di Tiziana Parenti
#1 riki 2019-07-12 19:58
Poco prima e dopo il 1975 operavano le società miste Italia Russia con a capo ex PCI. Si offrivano ai consorzi export delle PMI per favorirle a prendere ciò che le grandi aziende, si arrangiavano in altro modo, lasciavano. Le strutture alberghiere dell’est avevano hall di grandi dimensioni attrezzate per incontri di ogni tipo. Frequentate da persone serie e affaristi che millantavano conoscenze e entrature per fare business. Il sottobosco. Mi immagino Savoini in quell’ambiente che, da quello che si legge, sembra un pesce fuor d’acqua senza conoscenza dei pericoli insiti in quella “professione”. Pericoli che annusi appena entri in quella hall piazza d’armi.
Il maratoneta.

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