Salvini in difesa (wow). Conte scopre quanto conta. Commissione chi?

Immaginate una commissione parlamentare di 40 membri, composta dai rappresentanti di tutti i partiti (tra cui 15 casaleggiani e 10 lombardo-putiniani e un ufficio di presidenza di otto persone)…

Lettere Direttore 16 Luglio 2019 www.ilfoglio.it

Al direttore - Parti sociali o parti in commedia?

Luca Martoni

 

Conte ha ragione sulla scorrettezza istituzionale di un ministro che usa il Viminale come fosse Via Bellerio. Ma dovrebbe farsi una domanda: se il premier fosse una figura vera, e non fittizia, e non farlocca, ci sarebbero mai quaranta parti sociali pronte a diventare complici di una tale scorrettezza? #bacioni.

Al direttore - “Se ci sono sospetti su finanziamenti ai partiti, si fa una commissione di inchiesta per tutti i partiti”: ecco l’ennesima trovata umoristica del capo del Movimento 5 stelle. Immaginate una commissione parlamentare di 40 membri, composta dai rappresentanti di tutti i partiti (tra cui 15 casaleggiani e 10 lombardo-putiniani e un ufficio di presidenza di otto persone) che indagano sui finanziamenti dei propri partiti per scovare le malefatte dei brasseur compiute su mandato dei propri capi. Ecco i tanti motivi di ilarità: - perché la legge sui finanziamenti ai partiti prescrive già chi, come, dove e quando devono essere esercitati i controlli; - perché la commissione diventerebbe il pretestuoso palcoscenico per i tweet sui sospetti d’ogni genere che sputtanano ulteriormente il Parlamento; - perché le inchieste parlamentari hanno senso solo se hanno un oggetto ben circoscritto nel tempo e nello spazio senza la pretesa del “tutto”; - perché è in corso un’indagine della procura sull’affaire russo che è bene non sia turbato da battibecchi partitici; - perché le inchieste parlamentari servono ad accertare le responsabilità politiche e non gli illeciti penali. Quindi, se si vuole capire qualcosa di più basterebbe una semplice “indagine conoscitiva” in pubblico nell’ambito di una commissione permanente da deliberare in 24 ore. Se tali motivi per archiviare l’insensata proposta del capetto, a cui si è scioccamente accodato il Pd, ricordo che per istituire per legge una commissione d’inchiesta le due Camere impiegano non meno di sei mesi, e che per concluderla ci vogliono alcuni anni senza considerare gli usuali rinnovi ad ogni legislatura soprattutto quando i lavori sono aria fritta. Perché volete seguitare a distruggere la democrazia parlamentare in un’orgia di chiacchiere?

Massimo Teodori

Commissione di inchiesta o no (ma quanto sono carini i grillini quando fanno “bu” a Salvini cercando di far capire al Truce di non fare scherzi e di essere pronti a governare da un momento all’altro con il Pd?) c’è un dato politico interessante che emerge dalle cronache di questi giorni intorno al caso “Salvoini”. Forse non avrà come al solito nessun impatto sui sondaggi ma la storia un effetto l’ha già avuta: per la prima volta da quando è al governo Salvini non gioca in attacco ma gioca in difesa. E in difesa – Savoini chi? – Salvini non sa giocare, e si vede.

Al direttore - Ma la vodka chi la pagava? Urge una commissione parlamentare di inchiesta.

Frank Cimini

Al direttore - Quando all’inizio degli anni 2000 mi sono trovata, da sindacalista della Cgil, ad occuparmi del tessile e del made in Italy mi sono trovata a dover includere la globalizzazione nella pratica quotidiana di difesa del mondo del lavoro e di relazioni industriali. La sfida era quella di accettare la globalizzazione senza subirla, ma governandone l’impatto, dentro un quadro di valori e di regole condiviso. Per quanto riguarda il made in Italy questo significava e significa puntare sulla qualità, sull’etica, sulla sostenibilità, sul rispetto dei diritti. Ed effettivamente, in questo senso, il made in Italy ha saputo conservare e accrescere la propria forza competitiva proprio puntando su una filiera produttiva capace di unire manifattura specializzata e qualità artigiana, stile e creatività, tradizione, ricerca e innovazione su tessuti e modelli produttivi, sicurezza e attenzione alla salute, rispetto dei diritti di lavoratrici e lavoratori, tutela dell’ambiente e valorizzazione dei beni culturali e naturali. Mi tornava alla mente questa esperienza per me straordinaria nel leggere le riflessioni con cui avete stimolato in quesi giorni il dibattito nel campo democratico e progressista. Ci tengo subito a precisare che condivido il punto di fondo: la sfida che abbiamo di fronte – e che dobbiamo saper vivere per sfidare l’attuale governo e l’approccio politico-culturale del sovranismo salviniano – è quella della società aperta. C’è però un secondo punto che non condivido: non possiamo dividerci su questo, non ha senso e non ha prospettive. Se crediamo alla società aperta non abbiamo alternative che lavorare sul governo della globalizzazione, sul rendere l’apertura portatrice di opportunità e non di paure. Per farlo non serve dividersi in astratto, come non basta enunciare i vantaggi: occorre trasformare un valore e una prospettiva in un programma di governo. Occorre far percepire alle persone i vantaggi di cui parliamo, farne elementi di interazione con la vita quotidiana di lavoratori, imprese e famiglie, proponendo strade credibili per renderli reali. Questo significa puntare sul sapere, sulle competenze e sulla formazione, sulla ricerca e sull’innovazione. Significa considerare l’ambiente come condizione di sviluppo, in una visione in cui diventa green e sostenibile tutta l’economia. Significa lavorare su un incrocio mirabile di manifattura e intelligenza culturale e creativa. Significa valorizzare paesaggio, tipicità e tradizioni come fonti di competitività e di attrazione turistica ed economica. Significa fare di tutti questi valori la base delle politiche industriali e del lavoro, in termini di investimenti, di incentivi, di fiscalità. Significa garantire diritti e rispetto a cittadine e cittadini, lavoratrici e lavoratori, consumatrici e consumatori. Significa stare vicino a chi si è impoverito a tal punto da pensare di non avere più prospettive, sapendo dare risposte efficaci per far ritrovare la speranza. Significa invertire la dinamica della precarietà e costruire nuovi strumenti di welfare, che permettano di dare tutele a chi si trova coinvolto nei processi ormai costanti di crisi. Tutto questo non può essere fatto isolandosi, chiudendosi, respingendo persone, influenze e culture che non conosciamo o che ci spaventano, né negando la decisiva funzione degli organismi internazionali, a partire dall’Europa, senza i quali non è stato e non sarà possibile definire l’assunzione di regole eque e sostenibili a livello globale. Non è chiudendosi e isolandosi dall’altro e dagli altri che troveremo risposte reali alla povertà, alle diseguaglianze, alle paure profonde delle persone. Isolandosi e chiudendosi anzi alimentiamo paure, diseguaglianze e povertà, che sono condizionate in modo diretto dalla globalizzazione, e continueranno a esserlo. Solo con uno sguardo globale, solo assumendo davvero piattaforme di cambiamento del mondo incisive e operative, come l’Agenda 2030 dell’Onu, solo con un piano concreto di sviluppo sostenibile possiamo invece pensare di portare nel mondo del lavoro, nelle famiglie e nei nostri territori maggiore benessere e maggiore uguaglianza. La società aperta deve unire opportunità e tutele, diritti e futuro, condivisione e sicurezze. Solo così può diventare un programma e un racconto capace di parlare alla maggioranza delle persone e conquistare il consenso necessario a cambiare davvero le cose. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare se vogliamo invertire le tendenze politiche, e lo dico innanzitutto pensando alle prospettive del Pd. Solo così, se come democratici e progressisti riusciremo a costruire un programma credibile di cambiamento, potremo far vincere il modello etico, sostenibile e democratico che sta dietro all’idea di società aperta e di governo della globalizzazione.

Valeria Fedeli, ex ministro dell’Istruzione

Al direttore - Basta correnti, serve una rivoluzione o non ce la facciamo, dobbiamo cambiare tutto: così ha tuonato all’Assemblea nazionale del Pd il segretario Nicola Zingaretti. Parole sante che condivido totalmente e che si collocano nel solco della tradizione leopardiana del dolce naufragar o per i più prosaici, nel ritorno di Buffon alla Juventus.

Valerio Gironi

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