1-Cosa rischia l’Italia se il coraggio di Salvini diventa una finanziaria in deficit

2- L’assalto alla diligenza non paga, e i conti non tornano. La versione di Becchetti

6.7.2019 da Il Foglio.com e formiche.net

1- di Luciano Capone 6 Agosto 2019 www.ilfoglio.it

Il leader della Lega si trova oggi nei panni che ha vestito Di Maio lo scorso anno

Roma. Le manovre di avvicinamento alla prossima legge di Bilancio ricalcano ciò che si è visto lo scorso anno, solo a parti invertite: nel ruolo di chi festeggia la vittoria di Pirro contro l’Europa sul balcone di Palazzo Chigi, che era di Luigi Di Maio e del M5s, si sta posizionando Matteo Salvini con lo stato maggiore della Lega. La linea l’ha data il vicepremier venerdì scorso, intervistato dal Corriere: “Serve una manovra coraggiosa o il coraggio lo chiediamo agli italiani”, ha dichiarato Salvini. Ma cosa vuol dire? Che coraggiosamente si taglierà la spesa corrente e si rispetteranno le regole o che coraggiosamente si farà più deficit e si andrà allo scontro con Bruxelles? Qualche indicazione l’ha data al Foglio il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia, quando ha fatto capire che di tagliare la spesa non se ne parla: “La spesa pubblica non è enorme: tolte le pensioni, la sanità e il costo del personale, non resta molto da aggredire”. Non resta che fare la manovra in disavanzo: “Che non necessariamente vuol dire fare sfracelli, ma neppure adottare mezze soluzioni che non servono a niente”, ha detto Garavaglia. Più esplicito è Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, che al Messaggero ha spiegato chiaramente come la Lega intende finanziare la cosiddetta flat tax: “Faremo sano deficit per far ripartire l’economia”.

Ci troviamo nelle stesse condizioni dello scorso anno, con la forza trainante della maggioranza (allora era il M5s e ora è la Lega) che punta a finanziare le promesse elettorali in deficit e il ministro dell’Economia che tenta di tenere i conti in ordine e rispettare le regole europee. Anche quest’anno, con una credibilità ridotta visto come sono andate le cose 12 mesi fa, Giovanni Tria rassicura i mercati e la Commissione europea sul raggiungimento degli obiettivi fiscali fissati con l’ultimo Def e ribaditi nelle raccomandazioni dell’Ecofin che servono a scongiurare di nuovo la procedura d’infrazione: “Assicurare una riduzione in termini nominali della spesa pubblica primaria netta dello 0,1 per cento nel 2020, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6 per cento del pil”. Al momento questo consolidamento fiscale è in gran parte coperto dall’aumento dell’Iva, pari a 23 miliardi, già previsto per il 2020. A queste bisogna aggiungere altre risorse. Vuol dire che prima di impostare la manovra, se non intende aumentare l’Iva, il governo parte con un buco di 30 miliardi. A cui poi deve sommare le coperture per finanziare lo “choc fiscale”, ovvero il taglio delle tasse. Il tutto in un contesto di crescita zero (quindi senza maggior gettito proveniente dalla dinamica dell’economia) e con un debito pubblico in aumento (quindi con la necessità di metterlo, quantomeno, su una traiettoria di stabilizzazione).

Pertanto Tria, per rispettare gli impegni assunti dal governo, fa filtrare l’impostazione di una legge di Bilancio fatta di tagli alle “tax expenditures” per evitare l’aumento dell’Iva e di ridenominazione del “bonus 80 euro” per poter, insieme a qualche altro miliardo, consentire alla Lega di rivendicare la realizzazione della “flat tax”. Il problema è che il taglio delle tax expenditures equivale a un incremento della pressione fiscale: è cioè un modo per evitare l’aumento dell’Iva, ma non l’aumento delle tasse. Allo stesso modo cambiare nome al bonus Renzi non corrisponderà a un reale taglio delle tasse. E’ evidente che i progetti della Lega sono diversi da quelli di via XX Settembre, ma il vero ostacolo di Salvini non sarà piegare le resistenze di Tria bensì la reazione dei mercati finanziari all’ennesima forzatura dei gialloverdi.

E’ un po’ la stessa situazione in cui si era trovato l’anno scorso il governo, quando doveva scegliere tra sfidare l’Europa e i mercati oppure ridimensionare le promesse elettorali e rispettare le regole: affacciandosi al balcone Di Maio scelse la prima strada, ma poi il governo è stato costretto a fare marcia indietro e imboccare la seconda. I danni economici per il paese sono stati ingenti e quelli politici per il M5s anche maggiori. Forse Salvini ritiene di poter ottenere risultati diversi dallo stessa manovra in deficit, magari cambiando location dell’annuncio: dalla spiaggia del Papeete anziché dal balcone di Chigi.

2- L’assalto alla diligenza non paga, e i conti non tornano. La versione di Becchetti

Gianluca Zapponini da www.formiche.net

L’assalto alla diligenza non paga, e i conti non tornano. La versione di Becchetti

L'economista e docente di Tor Vergata a Formiche.net: "Se Lega e M5S non faranno un passo indietro sulle loro richieste i conti in manovra non torneranno mai. L'Iva si può bloccare ma non per tutti. Il salario minimo? Una misura da prendere con le pinze"

Sognare non costa nulla, ma se ognuno poi quei sogni vuole vederli realizzati allora la musica cambia e i conti sballano. L’Italia che sia avvia alla sua seconda manovra gialloverde rischia di fare, più o meno, questa fine. Sempre che qualcuno non azioni il freno d’emergenza un minuto prima, qualcuno come il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Leonardo Becchetti, economista e docente a Tor Vergata, la mette giù molto semplice: non si può avere tutto, qualcuno nel governo, Lega o Movimento Cinque Stelle che sia, dovrà rinunciare a qualcosa.

I CONTI (NON) TORNANO

“Se nessuno farà un passo indietro il banco salterà inevitabilmente”, premette Becchetti. “Dobbiamo capire se c’è qualcuno che abbia voglia di rompere o meno. La Lega vuole una flat tax che costerà non meno di 15-20 miliardi, l’Europa invece chiede una riduzione del deficit e poi c’è un’Iva da disinnescare, per un valore di 23 miliardi: è evidente che i conti non tornano. Tria sta facendo i salti mortali per trovare le risorse, già qualcosa ha trovato riducendo per esempio i sussidi alle fonti fossili, però non bastano. Si parla di un riordino delle agevolazioni fiscali, ma nessun governo ci è mai riuscito. Francamente ho anche dei dubbi su questa operazione, per esempio togliere quelle sulle ristrutturazioni edilizie potrebbe aiutare il nero e dunque, paradossalmente diminuire il prelievo fiscale“.

LA PARTITA DI TRIA

Becchetti sa fin troppo bene che Tria dovrà ancora una volta fungere da mediatore tra il governo a trazione gialloverde e un’Europa che si aspetta il rispetto dei patti siglati nei giorni della procedura di infrazione. “Credo che innanzitutto dovrà essere abile a trovare più risorse possibili e questo per non aumentare la tensione nel governo. E poi capire fino a quando è possibile accettare dei compromessi. Uno di questi sarebbe l’aumento dell’Iva selettivo, ovvero non aumentare l’Iva alle filiere che si contraddistinguono per sostenibilità ambientale e sociale. Per esempio, quando si alzano le tasse sul fumo, nessuno dice niente. Il problema è che non si è arrivati a questa consapevolezza, diciamo industriale e fiscale”.

IL REBUS DEL SALARIO MINIMO

C’è un’altra questione sulla quale Becchetti si sofferma. E cioè il possibile scambio salario minimo-cuneo fiscale. Un’ipotesi che però, come raccontato da Formiche.net, non piace alle imprese. E che trova perplesso lo stesso economista. “Per le imprese si tratterebbe di un sostanziale pareggio, semmai ci sarebbe un vantaggio per i lavoratori. In realtà però il salario minimo ha parecchie controindicazioni perché per le imprese comporterebbe un aumento del costo del lavoro pari al 30% e poi non è detto che il gioco funzioni: in agricoltura abbiamo aziende efficienti che pagano dignitosamente il lavoro, altre no, ma queste seconde non si possono mica cancellare. Si tratta di una misura decisamente incerta, e poi non dimentichiamoci che se ci mettiamo salario minimo sommato a taglio del cuneo per lo Stato è comunque un costo e allora si torna al punto di partenza“.

RIPRESINA IN VISTA?

Volendo allargare lo spettro, che ne sarà della nostra economia? L’Istat oggi ha dato segni di speranza, ma è davvero così? “Non dobbiamo perdere questa grande occasione, la politica monetaria finora è stata accomodante, quello che dice l’Istat ci dice che abbiamo un’occasione per investire, è il momento di lanciare politiche per gli investimenti serie. L’errore più grande che poteva fare questa governo e che ha fatto è stato depotenziare Industria 4.0″.

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