Manuale di conversazione per improvvisi sostenitori del proporzionale

Il momento tanto atteso forse è arrivato, ma non fatevi illusioni. E allora ecco qualche tesi razionale da contrapporre ai propri detrattori

di Francesco Cundari 12 Settembre 2019 ilfoglio.it

Evocato, esorcizzato, temuto e minacciato da quasi un quarto di secolo, il grande ritorno del proporzionale sta finalmente per compiersi. Forse.

Al volenteroso militante che voglia sostenere efficacemente il nuovo corso, infatti, la prima direttiva da impartire è più che altro un consiglio pratico: non farsi illusioni. Per un quarto di secolo il ritorno del proporzionale – con l’abituale corredo di ritorni annessi e connessi: il Grande Centro, la Balena Bianca, la Prima Repubblica – non è stato altro che il feticcio polemico agitato dai vincitori per ottenere tutto quello che volevano, l’uomo nero con cui tenere inchiodati ai propri posti alleati e avversari, lo spettro di un sistema politico defunto da evocare al solo scopo di seppellirlo sotto un altro metro di terra, possibilmente dopo averne seviziato il cadavere, al termine dell’ennesimo baccanale dell’antipolitica, tra un osanna alla società civile e un ultimo giro di sberleffi contro i vecchi partiti, le correnti, la casta. Può darsi che oggi sia diverso, che questa sia davvero la volta buona, ma all’ingenuo neofita come al cinico convertito sulla via del proporzionale è comunque bene raccomandare prudenza. Il lato oscuro del maggioritario è ancora potente e capace di catturare i combattenti più esperti. Soltanto la settimana scorsa, lo stesso giorno, sul Corriere della sera, ben due ex presidenti del Consiglio hanno sentito il bisogno di schierarsi in sua difesa: Romano Prodi, che per l’occasione teneva a ribadire, correggendo ricostruzioni imprecise, di essere sempre stato ed essere rimasto ancora oggi un fautore del maggioritario, e Massimo D’Alema, che per l’occasione teneva a ribadire di essere sempre Massimo D’Alema. E dunque, un po’ come il “capotavola” della leggenda, la legge elettorale migliore è dove si siede lui.

 

Non raccontiamoci balle sul maggioritario

Il modello francese resta un sogno. Ma nell’attesa di renderlo possibile, l’Italia può lavorare a uno splendido proporzionale, che respinga l’estremismo nazionalista e non renda strutturale l’alleanza tra Pd e M5s. Appunti sullo stato di necessità

Ai due ex presidenti del Consiglio, sempre sul Corriere, si è poi unito l’ex direttore Paolo Mieli, che in un lungo editoriale ha utilmente raccolto tutti i più classici temi della polemica antiproporzionalista. Fonte autorevolissima dalla quale possiamo dunque attingere le obiezioni alle quali il militante proporzionalista dovrà da oggi in poi, sia pure senza farsi illusioni, provare a contrapporre qualche argomento razionale.

1. Il proporzionale “serve a far sì che il maggior numero di partiti ottenga rappresentanza in Parlamento ma che, all’atto definitivo, nessuno vinca davvero e nessuno perda. E che, di conseguenza, mai più gli elettori, tranne in casi eccezionali, avranno l’opportunità di votare oltre che per il loro partito per una coalizione di governo”.

E’ uno degli argomenti più antichi, questo del diritto degli elettori di “eleggere direttamente il governo”, che presenta due difetti. Il primo è che è palesemente incostituzionale, per quanto riguarda sia le prerogative del presidente della Repubblica, che altrimenti, in caso di crisi, non potrebbe fare altro che indire nuove elezioni, sia quelle del Parlamento, di cui proprio in questi giorni si celebra giustamente la “centralità”. Il secondo difetto è che è falso.

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