La storia infinita della crisi dell’Ilva di Taranto in cinque tappe

Dal sequestro dell'acciaieria nel 2012 alla promessa di chiusura del M5s per le elezioni del 2018, Come siamo arrivati al conflitto di oggi.

Redazione 04 Novembre 2019, lettera43.it

Sembrava l’inizio della fine della crisi, almeno sul fronte occupazionale, quando, un anno fa, l’insegna sopra la fabbrica -città di Taranto, è cambiata da Ilva a ArcelorMittal. E invece a 365 giorni dal presunto salvataggio del gruppo franco indiano, il destino dell’Ilva è ancora tutto da definire. Ecco il film degli ultimi anni.

1° NOVEMBRE 2018: ARRIVA ARCELOR MITTAL

Il 1° novembre 2018 dopo 113 anni, l’Ilva ammaina la bandiera italiana ed entra a far parte di un colosso multinazionale, ArcelorMittal, nato nel 2006 dalla fusione della francese Arcelor e dell’inglese Mittal Steel. La vecchia insegna viene subito sostituita dal nuovo marchio ArcelorMittal Italia ma se per la multinazionale con sede a Lussemburgo, con stabilimenti in tutta Europa e guidata dalla famiglia indiana Mittal, è un successo inseguito da anni i problemi e le polemiche che hanno accompagnato l’operazione non si quietano.

2012: L’ACCIAIERIA FINISCE SOTTO SEQUESTRO

Negli anni precedenti all’arrivo di ArcelorMittal più volte il siderurgico di Taranto (la più importante acciaieria a caldo d’Europa) ha rischiato di essere chiuso. Nel corso degli anni, infatti, Ilva è diventata il simbolo della fabbrica che inquina e uccide. Nel 2005 lo stabilimento di Cornigliano chiude la produzione a caldo (quella più inquinante) che rimane solo a Taranto. Una ferita per i tarantini. Il caso Ilva diventa eclatante nel 2012 quando la magistratura dispone il sequestro dell’acciaieria per gravi violazioni ambientali e l’arresto dei suoi dirigenti, di Emilio Riva e di suo figlio Nicola. Da quel momento, per i governi che si sono succeduti, il sito siderurgico diventa una sfida da vincere con l’obiettivo di coniugare il diritto alla salute, la tutela dell’ambiente e mantenere viva la produzione di acciaio, materia prima fondamentale per le aziende italiane manifatturiere.

2015: LA TRIADE DI COMMISSARI

Sottratta ai vecchi proprietari Riva, l’azienda viene commissariata. Il primo commissario governativo è Enrico Bondi al quale succederà Piero Gnudi. All’inizio del 2015 Ilva viene ammessa alla procedura in Amministrazione Straordinaria. I commissari diventano tre: resta Pietro Gnudi al quale si affiancano Enrico Laghi e Corrado Carrubba.

2016: IL BANDO INTERNAZIONALE PER LA VENDITA DEL GRUPPO

Un anno dopo, a inizio 2016, si apre la procedura per il trasferimento degli asset aziendali attraverso un bando internazionale. Alla fine in corsa restano due cordate. Una cordata italiana col nome “Acciaitalia” e un’altra AmInvestco nata dalla joint-venture fra l’italiana Marcegaglia e ArcelorMittal. Alla cordata tricolore partecipano Cassa Depositi e Prestiti, l’italiana Arvedi, la holding della famiglia Del Vecchio Delfin, a questi gruppi va a unirsi il gruppo indiano Jindal South West (JSW). Alla fine vincitrice risulta la joint venture “AmInvestco” considerata dai commissari la cordata che ha presentato il piano industriale e ambientale migliore. Vinta la gara partono le trattative con i sindacati. Un confronto che risulta subito in salita per l’alto numero di tagli chiesto dai nuovi proprietari (4.000 esuberi e 10.000 assunti).

2018: IL M5s PROMETTE LA CHIUSURA DELLA FABBRICA

Il Governo Gentiloni con il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda e il vice ministro Teresa Bellanova cercano di mediare e di chiudere l’acquisizione prima della fine della legislatura. Su Ilva pendono infatti le minacce del Movimento 5 Stelle che in campagna elettorale nel 2018 promette ai tarantini la chiusura dell’Ilva. Vinte le elezioni il vicepremier Luigi di Maio, dopo aver letto le 27.000 pagine del pesante dossier Ilva, si convince che l’Ilva non si può chiudere e continua la trattativa con Arcelor Mittal.

6 SETTEMBRE 2018: SI CHIUDE L’ACCORDO, ASSUNTI IN 10.700

Il 6 settembre 2018 arriva l’accordo, fin da subito vengono assunti in 10.700. Non ci sono esuberi perché gli altri lavoratori restano in Amministrazione Straordinaria ovvero vengono incentivati all’uscita. L’accordo raggiunto ottiene un voto plebiscitario dai dipendenti ma la successiva rottura sul fronte della tutela legale per gli amministratori coinvolti nel lavori di risanamento ambientale riporta in luce tutti i problemi. Nei giorni scorsi la maggioranza giallorossa raggiunge un accordo per sopprimere l’articolo del decreto relativo ad ArcelorMittal, dopo la presa di posizione del M5s.

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