La moderna complessità non può essere certo gestita da un personale politico improvvisato

Ilva, una Caporetto per l'Italia Altrove governa un ceto formatosi nelle migliori scuole

di Domenico Cacopardo, 16.11.1019 www.italiaoggi.it

ArcelorMittal sta dando una severa lezione agli italiani. Una lezione pesante come una guerra perduta. Essa ci dice che la moderna complessità non può essere combattuta da personale politico improvvisato, venuto dal nulla, mosso e promosso solo perché capace di esprimere l'invidia sociale. Mentre nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Russia, in Cina, in Francia, in Germania governa un ceto politico formatosi nelle migliori scuole del paese, da noi governa gente che, nella vita, non è riuscita a concludere nulla. Chi fa politica, la fa perché non è riuscito a ottenere un lavoro dignitoso. Qualche eccezione c'è, ovviamente, ma è sommersa dall'ignoranza e dall'irresponsabilità.

Di fronte a una sfida epocale, quella di una grande multinazionale, la più grande del settore (76 miliardi di dollari di fatturato, 14 miliardi di utile, 209.000 dipendenti in 18 nazioni, esclusa l'Ilva di Taranto, 15 centri di ricerca, quotata nelle borse di New York, di Parigi, di Bruxelles, di Amsterdam e Madrid) che produce tutta la gamma di prodotti siderurgici (acciaio, acciaio inossidabile, palancole, travi, rotaie, fili d'acciaio, tubi, condutture, rifornendo le industrie automobilistica, con la componentistica, edilizia, elettrodomestici, imballaggi), disposta (e impegnata) a investire nello stabilimento Ilva 4,2 miliardi di euro, era necessario il concorde concorso di tutte le autorità, compresa la giudiziaria, per favorire la realizzazione dei piani dell'azienda, impegnata nell'ambientalizzazione dell'acciaieria e nel suo rilancio produttivo.

Così non è stato. Per un complesso di motivi che vanno dall'irresponsabile visione di Beppe Grillo (vi rendete conto? Un comico un po' spompato mette bocca sull'ultimo grande impianto industriale presente in Italia?), a quella demenziale di Barbara Lezzi o dell'altrimenti-ragionante Luigi Di Maio, la Nazione Italia non ha rispettato i termini del contratto stipulato con ArcelorMittal.

Si aggiungano iniziative legittime ma discusse della autorità giudiziaria pugliese che vanta un importante palmares di interventi che vanno dai periodici rapporti delle società di rating, al blocco del taglio degli olivi colpiti da Xylella, al caso Tap e per finire alla medesima Ilva.

Un quadro complessivo che descrive un paese sgovernato, anzi privo di un'autorità responsabile, capace di riassumere in sé tutti i livelli di decisione e, quindi, di presentarsi con un'unica faccia di fronte all'impresa (del resto Fiengo, commissario al Consorzio Venezia Nuova dichiara che per ogni azione del Mose ci vogliono più di 100 autorizzazioni). Aveva ragione la Fiat ad andarsene. Soprattutto a trasferire il cervello dell'azienda, la ricerca, insomma tutto ciò che ne costituiva il software. Si è sottratta così alle pressioni della politica nazionale, e alla necessità di confrontarsi con Maurizio Landini, che, a quanto risulta dalla sua biografia, nella vita ha fatto solo il mestiere di sindacalista. E hanno ragione tutti gli altri che se ne sono andati e se ne stanno andando. Anche i giovani, che possono scegliersi il lavoro e il luogo in cui svolgerlo. Si sottraggono così ai ricatti del «Sistema Italia».

Un cenno lo merita Giuseppe Conte, il primatista delle parole inutili (in questi giorni vuole un patto tra lo Stato e gli enti locali veneti per contrastare le acque alte) mi verrebbe da dire: schierateli al Lido e fate bere loro l'acqua del mare, una frase senza senso visto che nel sistema istituzionale, comuni regioni e Stato sono obbligati a collaborare secondo i principi di solidarietà istituzionale indicati dalla Costituzione: E questo lo dice un premier che non è riuscito a superare la diffidenza e la delusione dei dirigenti dell'ArcelorMittal senza ottenere nemmeno il minimo rinvio.

Lo si doveva capire che la strada era tracciata il giorno in cui era stata nominata Ceo Lucia Morselli, una manager italiana dura come l'acciaio. Fino al 10 gennaio, Morselli era amministratore delegato dell'azienda della Thyssen che sta a Copparo di Ferrara ed è stata protagonista di una durissima trattativa che ha portato a drastici tagli del personale e a un braccio di ferro estenuante con sindacati e istituzioni. Dopo la Berco, la supermanager è stata a Terni. Una tagliatrice di teste che interviene quando le aziende sono in crisi. Alla Berco di Ferrara (Thyssen Group) fece arrivare 611 lettere di licenziamento e non ebbe mai un incontro con le istituzioni, nemmeno con il sindaco. Il 4 novembre scrisse ai dipendenti Ilva: «Non è possibile gestire lo stabilimento senza queste protezioni» (legali) «necessarie all'esecuzione del piano ambientale», «definitivamente rimosse ieri con la mancata conversione in legge del relativo decreto».

Non l'hanno presa sul serio, ritenendo che il suo fosse un atteggiamento politico tipo gli scavalcafossi oggi di moda. Non era così, tanto che oggi è ufficiale il crono-programma della chiusura degli altiforni e degli impianti. Una sciagura per l'Italia, per l'Ilva e per la comunità tarantina.

 

Di Maio, da New York, in gita ministeriale, annuncia: «Trasciniamo Mittal in tribunale …» Il poveretto non sa che in tribunale (Milano) c'è già andata l'azienda con la richiesta di recesso e non sa nemmeno che per vedere la soluzione di una causa civile occorre aspettare nell'Italia del ministro della giustizia Bonafede almeno 15 anni.

Un governo degno di questo nome adotta un provvedimento straordinario, affida la continuità aziendale a un commissario e cerca un altro partner. Non c'è altro da fare per salvare l'attività siderurgica italiana.

Una decisione del genere dev'essere immediata a costo di ricorrere a un decreto-legge. Il pubblico interesse dell'impedire la chiusura degli altiforni e la morte dell'impianto è tale da motivare una decisione straordinaria.

Non lo faranno o lo faranno male.

Continueremo a sprofondare.

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