L’analfabetismo democratico di chi vuol fare gli esami alle manifestazioni altrui

Critiche alle sardine capaci solo di protestare. Facili ironie sui leghisti che non sanno cos’è il Mes. C’è poco da ridere e da sfottere: alla desertificazione della politica non si risponde con un elitismo vago

Francesco Cundari, 10,12,2019, linkiesta.it

Da un lato ci sono le facili ironie sui sostenitori della Lega che firmano contro il Mes ma non sanno dire cosa sia, intervistati in un video molto popolare sul web, rilanciato anche da autorevoli esponenti del governo. Dall’altro lato ci sono le critiche alle sardine, che con le loro manifestazioni sarebbero capaci solo di protestare e non di proporre, rilanciate da numerosi esponenti dell'opposizione. Due atteggiamenti molto diffusi, e più simili di quanto possa apparire a prima vista, che suscitano anzitutto un interrogativo di carattere storico-politico: da quand'è, esattamente, che siamo diventati così scemi?

Sebbene provenienti, in gran parte, da fronti politici opposti, quello che entrambi gli atteggiamenti hanno in comune è la profonda incomprensione – o semplicemente il rifiuto – della politica democratica, intesa in senso proprio, e cioè nella misura in cui ha a che fare con le masse, con i grandi numeri, con i molti o comunque preferiate chiamarli. Il che dovrebbe essere considerato un aspetto fisiologico, non patologico, della politica moderna.

Il fatto che una parte non piccola di coloro che oggi si mobilitano, da un lato con le sardine, dall’altro con la Lega, non sappia spiegare le proprie ragioni, dimostra che il mito della «democrazia diretta» è prima di tutto, dietro la patina populista, una distopia oligarchica

Buona parte delle più grandi manifestazioni della storia, se non tutte, sono state prima di ogni altra cosa manifestazioni di protesta, indipendentemente da quello che i promotori eventualmente scrivessero nelle loro piattaforme, o negli appelli su cui raccoglievano le firme. Si scende in piazza per protestare, anzitutto. Per proporre ci sono i convegni, i giornali, le sedi di partito e i parlamenti.

E il fatto che una parte non piccola di coloro che oggi si mobilitano, da un lato con le sardine, dall’altro con la Lega, non sappia spiegare in modo articolato e coerente le proprie ragioni, dimostra solo ed esclusivamente che il mito della «democrazia diretta» non è solo una boiata pazzesca, ma è prima di tutto, dietro la patina populista, una distopia oligarchica: terreno ideale per ogni forma di manipolazione dall’alto.

Questo non vuol dire, naturalmente, che non esista un problema di partecipazione consapevole: il punto è che in politica la consapevolezza è non per caso un aggettivo della partecipazione. Perché non c’è nessun manuale di istruzioni, nessun giornale, nessun tecnico e nessuna università che può fornirci quella consapevolezza bella e pronta; perché è un processo, un’esperienza che si acquisisce facendola, e facendola insieme agli altri (altrimenti, per definizione, non sarebbe politica).

Irridere i sostenitori della Lega che firmano contro il Mes senza sapere cosa sia, semplicemente perché si fidano di Matteo Salvini e della Lega, tradisce dunque il desiderio inconfessabile di vedere quelle persone non già più informate e consapevoli, ma relegate nell’indifferenza e nella passività. Desiderio peraltro sempre meno inconfessabile e sempre più spavaldamente confessato e rivendicato, con le ricorrenti campagne, più o meno ironiche, sulla necessità di concedere il voto solo agli istruiti, ai consapevoli e meritevoli. Una deriva oligarchica – anch’essa, per fortuna, inconsapevole – che si ritrova negli stessi discorsi delle sardine, specialmente quando ricorrono alla formula stantia del parlare «alla testa» anziché «alla pancia» degli elettori.

La verità è che la retorica populista dell’uno vale uno e quella tecnocratica che grida «tutto il potere ai competenti!» sono due facce della stessa medaglia, frutto della stessa lunga semina.

Ironia delle polemiche da social network, una delle clip più diffuse tra gli antipatizzanti delle sardine è proprio quella in cui il loro leader, Mattia Santori, confessa a Giovanni Floris di non saper rispondere alla stessa domanda rivolta nell’altro video agli elettori leghisti, vale a dire: cos’è il Mes? Trattandosi dell’argomento al centro del dibattito politico da settimane, dovremmo dunque togliere il diritto di voto anche a lui? O concluderne che anche lui, in fondo, non fa che parlare «alla pancia» dell’elettorato?

La verità è che la retorica populista dell’uno vale uno e quella tecnocratica che grida «tutto il potere ai competenti!» sono due facce della stessa medaglia, frutto della stessa lunga semina.

Decenni di demonizzazione della politica e dei partiti hanno prodotto la desertificazione del panorama che abbiamo sotto gli occhi, con fenomeni sempre più diffusi di analfabetismo democratico di ritorno (e in qualche caso pure di sola andata). C’è da augurarsi dunque che alle nuove generazioni impegnate oggi nelle piazze l’appetito venga mangiando, e decidano finalmente di occuparsi un po’ anche della pancia. Scopriranno così un’antica verità, forse la più antica verità mai scoperta dai movimenti di emancipazione di ogni parte del mondo: che a pancia piena si ragiona meglio.

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