Chi vuole l'Iri non sa cos'era

Era una macchina mangiasoldi che ha dissipato risorse pubbliche e dissanguato il Paese. Sbaglia (alla grande) chi vuole rifarlo coi soldi Cdp

di Domenico Cacopardo 24.12.2019 italiaoggi.it lettura4’

Non ci volevano le analisi dei vari istituti, più o meno attendibili, per capire che l'Italia è stufa di una situazione che si trascina da troppo tempo. Almeno da quando, finita l'era delle svalutazioni competitive, il sistema industriale italiano è stato costretto a confrontarsi e a competere sul piano internazionale su un terreno ostico e difficilmente percorribile: la competitività. Per essere competitivi nel mondo contemporaneo occorre un ambiente adeguatamente infrastrutturato, almeno quanto lo sono gli altri ambienti europei. L'Italia, invece, stretta tra bande di ricattatori e tra gruppi e sottogruppi politici, si è trovata bloccata in ogni iniziativa di ammodernamento. Pensate che l'accoppiata Prodi&Di Pietro ci ha data una variante di valico inidonea alle necessità contemporanee, ridotta a due corsie di marcia e a un percorso minimale che, di fatto, ha rappresentato una dissipazione di denaro pubblico. Era l'occasione per levare il tappo delle comunicazioni autostradali Nord-Sud e non è stata colta. Come non è stata colta la necessità di completare il percorso Livorno-Civitavecchia, quello Cesena-Civitavecchia, per non parlare del ponte sullo Stretto di Messina. Ma questi sono particolari, evocati solo per denunciare l'incapacità politica di affrontare i tornanti dello sviluppo con la mentalità progressista che determinò l'incredibile avanzamento del dopoguerra.

Una ragione concorrente e determinante di questa anomalia italiana, tuttavia, era sempre politica, ma riguardava e riguarda un altro aspetto della crisi italiana: il debito pubblico. Per affrontarlo, era necessario uno sforzo comune e un sacrificio comune in un orizzonte temporale non brevissimo, ma definito. Solo in questo modo, si sarebbero recuperate le risorse e le condizioni per rilanciare gli investimenti e, soprattutto, per tagliare in modo drastico le tassazioni. Ovviamente, questo significava e significa tagliare le uscite dello Stato e, probabilmente, ripensare quell'istituto, le Regioni, che ha irrigidito il bilancio dello Stato, raddoppiato le burocrazie parassitarie, costituito centri di spesa clientelare e improduttiva.

Anzi, in diverse fasi, tutte recenti, si è preferito allargare i cordoni della borsa verso il sociale, senza un'adeguata razionalizzazione delle spese razionalizzabili. Per esempio, la «slot-machine» della spesa sanitaria rimane sostanzialmente inalterata, rimanendo in essere le differenze abissali dei costi (il famoso ago da siringa che, per esempio, in Sicilia e in Campania costa molto di più di quanto non costi al Nord). Una «slot-machine» che consente di avere i margini necessari per il finanziamento della corruzione e della criminalità. S'è determinata così l'insaziabile voracità dello Stato nei confronti dei contribuenti e s'è realizzato il circuito vizioso che sta strozzando l'Italia.

Lo Stato ha sempre più bisogno di soldi e gli gnomi del ministero delle finanze (ex) si impegnano nella ricerca delle possibili tassazioni. L'insostenibilità del carico fiscale è tale che in tutte le situazioni marginali, nelle quali la sopravvivenza è a rischio, si preferisce evadere. E per evadere è pronta un'organizzazione per la fabbricazione di costi falsi, di fatture false, di tutto ciò, insomma, che serve a far sopravvivere un'azienda «border-line». Se ci riflettiamo, questo meccanismo è ciò che ci voleva per consentire alla criminalità organizzata nazionale di entrare nel mondo imprenditoriale e di creare un'area di attività lecite di sua proprietà.

La causa dell'attuale impasse non è quindi l'evasione, ma (come sanno tutti gli esperti) è l'eccesso di tassazione (cui corrisponde uno Stato dissipatore di risorse). Ed è, perciò, immorale battere come si batte su questo tasto e non su quello delle spese inutili, clientelari e improduttive. Quintino Sella, che se ne intendeva, trattava i soldi dello Stato come tratterebbe i suoi un avaro matricolato. E aveva ragione. E mi spiace rilevare che il capo dello Stato Mattarella, persona stimabile e retta certo, sbaglia quando sostiene, in uno dei suoi ultimi discorsi, che il problema è il lavoro. Qualcosa di simile a quanto ha sostenuto questo Papa bizzarro e disfunzionale. Nulla di più errato e deviante. Il problema più urgente, oggi, è rimettere in piedi lo Stato, tagliare gli sprechi, compresi il reddito di cittadinanza e quota 100, e recuperare le risorse necessarie per una sana politica di opere pubbliche, realizzata al di fuori del circuito regionale, con normative snelle e trasparenti.

Da un'operazione del genere può nascere il lavoro, non dalle follie genere Alitalia, la cui situazione si trascina per la pavidità dei governi, incapaci di dare il via al taglio di posti di lavoro esuberanti, o la stessa Ilva, diventata un rubinetto di risorse pubbliche aperto all'investimento improduttivo o in perdita. Il ministro Stefano Patuanelli che teorizza un nuovo intervento dello Stato con una Cassa Depositi e Prestiti trasformata in Iri, non conosce la storia economica del Paese e la necessità di abbandonare le attività in perdita per concentrarsi su opere e attività che stimolino privati italiani e stranieri a investire in Italia. Il ritorno all'aratro a chiodo, questo recupero dell'ideologia statalista, prospettata dai 5Stelle e dal Pd, impossibilitato a dissociarci, sta accelerando la fine di questa storia (e di questa Repubblica).

La piazza, che è tornata a riempirsi (si tratti di leghisti o di Sardine), testimonia che la misura è colma. E che è inutile e controproducente agitarsi per mantenere in piedi una situazione insostenibile. Il momento è maturo per un passaggio di mano, che, a sinistra, significa fine di questo Pd (il cui leader s'è addirittura arrischiato a dichiarare che Giuseppe Conte è il baluardo della sinistra o qualcosa di simile) e affermarsi di un movimento spontaneo che, fatalmente, si darà un gruppo dirigente. Al contrario di ciò che sostengono alcuni fogli di informazione, le Sardine non sono espressione del Pd o di altre forze di sinistra. Il Pd e gli altri partitini collegati, temono le Sardine, perché capiscono che esse possono essere una forza di sostituzione, sostenuta da tutti coloro che si sono stancati e rifiutano le gerarchie farlocche oggi al potere.

Il 2020 che sta per iniziare ci dirà di più su questo inevitabile - e, per me, auspicabile - passaggio di mano.

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