Patto tra Craxi e Occhetto per un partito di sinistra unico, perché saltò

Petruccioli exPDS: ma non si può imputare alle parole e ai ragionamenti di Craxi in quel giorno la responsabilità di quel fallimento. 1992 ultime lelezioni con proporzionale

Claudio Petruccioli — 18.1.2020 ilriformista.it –lettura 5’

La rivista Mondoperaio di gennaio dedica uno speciale alla figura di Bettino Craxi che annovera una serie di pregevoli interventi, tra cui quello di Claudio Petruccioli, di cui anticipiamo ampi stralci per gentile concessione dell’editore.

Il 5 e 6 aprile 1992, il Parlamento fu rinnovato per l’ultima volta con la legge proporzionale usata da quando esisteva la Repubblica. I risultati di quel voto offrono un fixing prezioso sull’orientamento e sugli stati d’animo degli italiani, delle loro attese e dei loro timori in quel momento cruciale.

 

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Alla Camera tutti gli eletti nelle liste “alla sinistra della Dc” senza alcuna esclusione (Pds, Psi, Rc, Pri, Psdi, Verdi, Rete, Lista Pannella) erano 312; identico numero si raggiungeva sommando i deputati di Dc, Lega, Msi e Liberali; i 6 mancanti per arrivare a 630, sparsi fra minoranze linguistiche e liste minime. Idem al Senato: rispettivamente 153, 152 e 10.

La Dc aveva perso quasi il 5 per cento ed era scesa, per la prima volta nella sua storia, sotto il 30% (29, 66); neppure il risultato del Psi era stato brillante (flessione dello 0,65 e due seggi in meno). Ne usciva compromesso l’asse delle maggioranze che avevano retto i governi negli ultimi venti anni; sicché anche lo striminzito risultato elettorale del Pds poteva indurre a ragionamenti, o almeno a calcoli, non abituali. I voti della Dc, come quelli di Pds e Psi sommati erano intorno al 30% (29,66 contro 29,73: neppure 25.000 voti di differenza): numeri ideali per incardinare un bipolarismo politico con una alternanza di tipo europeo. A condizione, naturalmente, che si riuscisse a unificare politicamente l’area, ancora divisa, in cui si collocavano Psi e Pds. Anche lì, peraltro, i numeri aiutavano.

Al 16,11% del Pds faceva riscontro il 13,62% del Psi che, con l’aggiunta dei voti Psdi saliva al 16,33%, meno di centomila voti di differenza. Dunque perfetto equilibrio, e assoluta incertezza. Come se gli elettori avessero voluto dire ai protagonisti della politica: “Noi vi abbiamo preparato una situazione aperta; adesso tocca a voi scegliere, decidere, trovare le soluzioni migliori”.

Le difficoltà e gli ostacoli erano enormi, ma diventava possibile pensare e cercare di mettere in atto scelte che fino a quel momento erano sembrate o comunque erano risultate impossibili. Serviva chiarezza, fermezza, lungimiranza. Dc e Psi riunirono i loro organismi di vertice a quarantott’ore dalla chiusura delle urne. Il Coordinamento politico del Pds che si riunisce quel giovedì trova sul tavolo un bel po’ di materiale, soprattutto le novità di casa socialista.

La risposta è molto prudente, ma non di chiusura; il giorno dopo l’Unità la riassume così: «Occhetto: no alle sirene ma non resteremo in frigorifero». Il segretario della Quercia ha giudicato ‘positiva’ la richiesta di aprire il confronto venuta l’altra sera dall’esecutivo socialista. Il documento approvato — lungo e farraginoso, sintomo di incertezze e divisioni — viene pubblicato il sabato. La tesi centrale è che “l’era democristiana è finita”, e il titolo che l’accompagna rivendica “un governo che rompa con l’era dc”.

Martedì 14, alla vigilia della riunione socialista Occhetto torna sull’argomento in un’intervista a l’Unità, ampia e impegnata. «Io credo — dice – che il voto ci abbia caricato di una responsabilità nazionale, ma anche europea. Ormai è evidente che siamo di fronte, noi ma anche il Psi, e tutte le altre forze della sinistra a una questione rilevantissima: perché la sinistra, per motivi e per condizioni diverse, non riesca a dare risposte convincenti, in termini elettorali e progettuali, in termini di blocco sociale e politico, alla crisi che accompagna la fine del ciclo neoliberista.

È un processo nuovo, aperto, ma aperto a molteplici esiti, in cui non sarà secondario l’atteggiamento soggettivo delle forze di sinistra. Quindi, per quanto mi riguarda, io alla domanda rispondo che mi sento ancor più vincolato all’impegno che mi sono assunto in campagna elettorale, cioè quello di lavorare prima di tutto per la ricostituzione della sinistra italiana…

Giudico interessante, se sarà formulata la proposta, che le forze che si richiamano all’Internazionale socialista si incontrino. L’ho detto a Martelli e lo ribadisco qui… sono interessato a discutere, diradando innanzitutto l’equivoco che il riavvicinamento a sinistra — come segnala Bobbio -assuma il senso di un invito a noi ad entrare nella coalizione per rafforzarla nel momento della sua sconfitta elettorale». «Anche con la Dc?», gli chiede l’intervistatore, Alberto Leiss. La risposta di Occhetto, prima concede alla propaganda.

Poi si rende conto che il rapporto con la Dc non è una invenzione strumentale ma un problema reale imposto, per di più, dai numeri: «Le ripeto — precisa allora – a me interessa iniziare il discorso a sinistra, sulla sinistra e non sulla Dc. Con l’obiettivo di arrivare anche ad un atteggiamento comune rispetto al problema del governo. Se la sinistra saprà ritrovarsi, il resto sarà meno difficile». Con queste ultime parole, non dico che il “problema governo” che incorporava il “problema Dc” fosse del tutto risolto; ma era rimosso l’ostacolo che impediva di mettersi in cammino.

I partiti che si richiamavano all’Internazionale socialista potevano incontrarsi e discutere proficuamente. Alla riunione della Direzione socialista di mercoledì 15 aprile si arriva — così — in un clima carico di molte attese, anche se frammiste a non poche diffidenze. La relazione di Craxi fu resa pubblica in tarda mattinata. Quando uscì da Botteghe Oscure per l’intervallo del pranzo, Occhetto ne prese una copia e disse a me che avevo la mia: «Leggi e comincia a buttar giù una bozza di risposta»; cosa che feci durante la sua assenza.

La memoria non mi consente di dire se fra i “più stretti collaboratori” con cui Occhetto parlò al telefono ci sia stato anche io, cosa peraltro probabile visto che dovevo “buttar giù una bozza” di commento alla relazione di Craxi. Comunque sono certo che se contatti telefonici ci sono stati, almeno con me Occhetto non aveva lasciato trasparire la ripulsa riassunta nella parola “desolante”: ne sono certo perché ricordo nel modo più vivo lo scoramento che mi prese quando la lessi sulle agenzie che precedettero l’arrivo di Occhetto in ufficio.

Quando arrivò non feci nulla per nascondere il mio stato d’animo e quel che pensavo; aggiunsi che la “bozza” che avevo preparato potevamo pure buttarla.

Giudicai, allora, sbagliato liquidare quel discorso come “desolante”. Ho voluto rileggere oggi la relazione che Craxi espose alla direzione del Psi quel mercoledì 15 aprile 1992. Di tempo ne è trascorso e di cose ne sono successe! Niente è più come allora; dovrei essere al riparo dalle attese e dalle emotività del momento.

Nella relazione di Craxi si delinea un quadro in cui domina la preoccupazione, con accenti anche autocritici, e si prospettano cambiamenti, non continuità. Occhetto esprime irritazione e disappunto per il giudizio sul risultato elettorale del Pds e di Rifondazione (“ci considera esclusivamente come degli sconfitti… appare visibilmente soddisfatto della affermazione di Rifondazione”) e per la mancanza di attenzione alla intervista rilasciata — sottolinea —”proprio alla vigilia della direzione socialista”. Craxi — è vero – nella sua relazione non fa alcun riferimento esplicito all’intervista di Occhetto uscita il giorno prima; ma non fa cenno neppure alle altre varie valutazioni di esponenti o organismi di partito in circolazione; si limita a esporre e motivare giudizi e proposte alla direzione del suo partito.

Il malumore di Occhetto in proposito non sembra perciò fondato. Invece i giudizi sulle performances elettorali del Pds e di Rc hanno davvero una impronta malevola. Craxi ricorre a un artifizio velenoso: confronta il Pds con il Pci e considera Rc come un partito “nuovo”. Per essere obiettivi si deve, però, ricordare che nella riunione del Coordinamento del 9 aprile anche Occhetto era stato molto duro nel giudicare il risultato elettorale del Psi che — aveva detto — “è stato seriamente sconfitto” giungendo a rivendicare per il Pds il “merito” (letteralmente) di questa sconfitta.

Si fosse anche imboccata allora quella strada, sarebbe stato arduo procedere e forse addirittura impossibile completare il cammino. Ma non si può imputare alle parole e ai ragionamenti di Craxi in quel giorno la responsabilità di quel fallimento; un esame obiettivo fa concludere, al contrario, che se mai — in quella occasione egli cercò di ridurre gli attriti e abbassare gli ostacoli.

Commenti   

#1 riki 2020-01-19 13:14
Craxi “Lo stesso Gerardo D'Ambrosio, sostituto procuratore del pool di Mani pulite, disse che l'ex segretario del Psi non si arricchì personalmente: "La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica".
Intervistato copiosamente dal docufilm di Sky, Massimo D'Alema, presidente del Consiglio negli ultimi anni di vita di Craxi, si attribuisce responsabilità zero. Dello statista dice che ebbe meriti, che non combatté la corruzione, che il suo comportamento autorizzò a credere che non di sola opera di finanziamento di partiti si trattasse ma anche di arricchimenti personali, se non suoi di altri.
Giusto ricordare oggi in quali condizioni fu lasciato a morire Bettino Craxi da un governo che il giorno seguente era pronto a offrirgli funerali di Stato senza vergogna”. Da agi.it ilriformista.it e dagospia.com

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