Dai megafoni ai citofoni, un salto senza garanzie

Elogio dello status quo. Anche le turbolenze degli anni Sessanta finirono in riforma politica. Mentre la tendenza di cambiamento che si esprime oggi nella rivolta delle classi medie genera insicurezza democratica

di Giuliano Ferrara 26.1. 2020  ilfoglio.it  lettura5’

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Ora che è in pericolo un po’ dovunque, assalito con veemenza da quello strano animale che è il popolo nella versione dei populisti, lo status quo rifulge in tutta la sua potente geometria di bellezza. Ora che risorge il fascista europeo mai tramontato, il qualunquista soddisfatto di sé, l’antisemita per istinto, il bottegaio che diventa soggetto di valori, e si fanno sotto con strepito violento altri movimenti aggressivi dall’Emilia alla Polonia, sotto l’usbergo accattivante di Trump Putin e diversi uomini forti, ora si vede che cosa sia stata per decenni la geometria della pace, lo status quo protetto e garantito dalle élite risorte dopo la catastrofe del 1945, dopo l’inaudita stagione di carneficine e disvalori totalitari del Novecento. Ora che suonano al citofono, grande idea perversa della Bestia, è il momento di riandare alla più celebre e breve e chiara definizione di democrazia liberale: quel sistema in cui “quando suonano alla porta sei sicuro che è il lattaio”. Un commentatore sociale come Dario Di Vico, conoscitore della sociologia economica del paese, ci spiega cosa sia il corpaccione intermedio alla base del “popolo che sente e non pensa”. Un commentatore politologico come il liberale per Salvini, Giovanni Orsina, ci spiega quali siano le basi politiche della pulsione di cambiamento incarnata dai sovranisti. Bene. D’accordo. Ma nessuno ha tanta voglia di spiegarci che il muro di resistenza a questi cambiamenti, l’esercito in difficoltà dei difensori dello status quo, non è l’ostruzione di un vicolo cieco bensì la difesa di una cosa magnifica, il sistema di equilibrio e di convivenza conflittuale, ma liberale, che è prevalso dopo l’inabissamento nel nichilismo.

   

La lotta di classe è stata a due facce, mentre l’insorgenza delle idee di nazione, di popolo, di razza, ha sempre avuto una faccia sola, una grinta malevolente e vocata univocamente alla disfatta comune. I comunisti costruirono il loro mondo della dittatura del proletariato e del partito, generando equivoco e violenza su una scala gigantesca, ma l’altra faccia era quella della socialdemocrazia, del welfare, del popolarismo cattolico, del riformismo, del conflitto regolato e mediato da sindacati e partiti. E questa versione è quella che ha presieduto alla costruzione in Europa, sulla scia e con il consenso della democrazia americana quando era grande grossa e bella, di un’ipotesi di sviluppo e di modernizzazione buona, fondata sul libero commercio come forza unificante e sulle protezioni della tranquillità istituzionale, negoziale, senza gloria, affidata anche alla tecnica, che invece è diventata nella forma della tecnocrazia elitaria il mostro maledetto e la testa di Turco di tutti gli attaccanti dell’estremismo rossobruno. Lo status quo è poi questo. Non solo la pace tra le nazioni e i cosiddetti popoli. E’ la possibilità di scioperare per due mesi contro la riforma delle pensioni, come accade in Francia, la possibilità di agganciare altri movimenti in lotta e convergere nella contestazione del potere, di politicizzare il conflitto ma alla fine mediarlo attraverso istituzioni e parlamento. Anche le radicali turbolenze degli anni Sessanta finirono in riforma politica, generarono speranze e non abusi, i megafoni non erano citofoni, c’era un fondo libertario che confinava senza sovrapporsi con il perimetro della società aperta e libera nonostante il lungo periodo del terrorismo.

  

Ecco. La tendenza sediziosa e di cambiamento che si esprime nella rivolta delle classi medie genera insicurezza democratica, non ha la forza di garanzia e di inclusione che ha caratterizzato invece gli anni ruggenti e pieni di sbadigli globalizzati dello status quo. Il problema è tutto qui, e varrebbe la pena che si riflettesse su una stagione, quella trascorsa, in cui il popolo fu sbandito e riformulato come società e trama di diritti individuali e sociali, dopo gli eccessi della mobilitazione generale iniziatasi negli anni Dieci del Novecento, per non smarrire almeno il ricordo di un progetto che potremmo essere costretti a rimpiangere per lungo tempo.

Commenti

zucconir

28 Gennaio 2020 - 03:25

Particolarmente bello. Un paradiso perduto negli anni dell'insulto becero e anonimo, del distruggere e non costruire, della paralisi burocratica, del giornalismo sempre di parte, della politica senza bussola e respiro. Forse 75 anni di pace e di un benessere mai conosciuto prima in nessuna civiltà sono troppi? Come bambini bizzosi abbiamo bisogno di romperlo questo immenso lego costruito con tanta fatica? Non so rispondere. Forse siamo ritornati davvero al 1910.l'Europa si annoiava, Sarajevo fu giudicata una buona occasione per un po' di ginnastica e di avventura.

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Rispondioliolà

26 Gennaio 2020 - 19:48

Alla fin fine, cosa vogliono queste classi medie? Hanno per caso dimenticato che in medio stat virtus? Adesso magari sembra che la virtù stia in media ma sarà colpa dello status cult e delle molte facce della lotta di classe (De Gasperi, ma anche Fanfani, si sarebbe arrabbiato moltissimo a sentirsi dire che praticava la lotta di classe). Io faccio il tifo per lo status quo, anzi, sarà per l'età, adoro la routine e cado in depressione se qualcuno tenta di allontanarmene. Però, il lattaio, una volta passava di giorno. Ora passano di notte, non suonano e non sono lattai. Una volta ci si attaccava ai campanelli e si scappava via. Oggi si rimane incollati ai citofoni facendo, per giunta, domande indiscrete.

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26 Gennaio 2020 - 18:54

Chi dovrebbe dare garanzie? Il rassemblement tra neo guelfi e neo ghibellini, con l'aggiunta delle sardine? Salvini? Non è credibile: assiomatico. Ciascuno dà le proprie, garanzie. Imperativo, è il core della politica nostrana, perseverare nell'uno contro l'altro armato, nell'avere un nemico da combattere e nessuno che possa “governare “. L'ingovernabilità come metodo del governare. Siamo ganzi, eh? Ma tant'è, il convento "dei sinceri democratici", non passa altro. Riguardo alla giusta analisi sulla socialdemocrazia: tutta la cultura di sinistra del tempo, 1959, si scagliò contro Bad Godesberg. Cioè contro il riformissmo.

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RispondiCacciapuoti

26 Gennaio 2020 - 18:51

Garanzie di che?

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Rispondialbertoxmura

26 Gennaio 2020 - 18:13

"La democrazia liberale è quel sistema in cui 'quando suonano alla porta sei sicuro che è il lattaio'". Chiaramente la citazione è inesatta e il contenuto, così com'è, assurdo. Implica che solo il lattaio in una democrazia liberale abbia titolo di usare i campanelli delle case. Non essendoci più lattai che portano il latte a domicilio, dovrebbero non esserci più campanelli né citofoni. In realtà la citazione (verosimilmente apocrifa) attribuita a Georges Bidault è piuttosto la seguente: "La libertà è quando si sente la campana alle sette del mattino e si sa che è il lattaio e non la Gestapo". Assimilare il gesto di Salvini all'irruzione della Gestapo mi sembra davvero fuori luogo. Quella di Salvini era solo una innocente trovata elettorale come tante sulla quale non è il caso di fare strumentalizzazioni.

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Rispondilucafum

26 Gennaio 2020 - 17:48

Ad ognuno le proprie piaghe: in Etiopia locuste, qui grilli e cinghiali. Gli etiopi hanno tuttora la scusante di non averle elette, le locuste.

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RispondiCacciapuoti

26 Gennaio 2020 - 11:13

lei si turba per stupidite e non vede, non vuole vedere i benpensanti, cioè il letame della società

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