La guerra ai test Invalsi e il suicidio politico della sinistra

Un Paese che sta perdendo posizioni avrebbe bisogno di più confronti e stimoli. Invece l'azzeramento di fatto delle prove voluto da LeU va nella direzione opposta. Parafrasando il principe di Salina: gli italiani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti.

Mario Margiocco 23 .2. 2020 llettera43.it lettura6’

Ci sono vari modi per suicidarsi in politica e l’Italia ha più della sua parte di queste formule finali, riguardanti gruppi e culture, non casi individuali che esistono ovviamente ovunque.

Si può parlare del suicidio politico, più strisciante che repentino, di destra e di quello di sinistra.

Come episodio di questa seconda categoria, la cronaca fa registrare la soddisfazione con cui l’onorevole Nicola Fratoianni, deputato di Liberi e Uguali, a sinistra del Pd, ha annunciato il 12 febbraio scorso la vittoria in commissione Cultura e Scuola, alla Camera, di un suo emendamento che mette fuori gioco in Italia il ruolo, per quanto riguarda l’ultimo anno delle scuole superiori e il loro esame conclusivo, del test Invalsi, acronimo di Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione.

I TEST INVALSI E L’ALLERGIA AL NOZIONISMO

Si tratta di prove identiche su tutto il territorio nazionale e analoghe a quanto viene fatto altrove in Europa e nell’area Ocse per valutare il livello di formazione. Riguardano tre materie fondamentali: italiano, matematica e inglese. Le prove si tengono in genere tra marzo e maggio ogni anno, questo da una dozzina d’anni, in seconda e quinta primaria (elementari), in terza media, al secondo e all’ultimo anno delle superiori. C’è un rapporto con i programmi scolastici anche se l’accento è su comprensione dei testi e capacità di ragionamento. Non sono strettamente nozionistiche, termine che per molti fa scandalo. Prendendo però la classica definizione   di cultura come «quello che rimane quando si sono dimenticate le nozioni», è certo che un po’ di nozioni inizialmente servono, a meno di voler credere nella cultura innata e quindi, in definitiva, nell’inutilità della scuola.

I TEST PISA VEDE L’ITALIA A METÀ CLASSIFICA

Su un binario parallelo ai test Invalsi, ma con un percorso autonomo, solo ogni tre anni e solo per gli allievi 15enni, secondo anno di superiori quindi, c’è poi l’analogo test Pisa, acronimo di Programme for International Student Assessment. Si tratta di una serie di prove non nozionistiche, ma di comprensione di testi e di ragionamento, per lingua nazionale, matematica, scienze e ora anche l’abc della finanza.

Cominciati nel 2000, sono gestiti dall’Ocse, l’organizzazione parigina cui fanno capo 36 Paesi fra i più industrializzati fra i quali ovviamente l’Italia, con il test adottato anche da altrettanti Paesi non membri, per un totale di circa 70. Mezzo mondo quindi, Cina compresa. Se la Repubblica Popolare primeggia, l’Italia è verso metà classifica. Il test Pisa consente un ampio e immediato confronto internazionale, ed anche per questo è ancor più detestato, ma non ha conseguenze scolastiche dirette.

LA “VITTORIA” DI FRATOIANNI

La vittoria di Fratoianni, che ha visto la maggioranza allinearsi dietro l’emendamento LeU all’articolo 1, comma 28 della legge 107/2015, inserito nel Milleproroghe, è stata non solo quella di impedire che il test Invalsi dei ragazzi di 18-19 anni, l’ultimo anno delle superiori, venga considerato da quest’anno parte integrante del giudizio finale, ma di imporre che i risultati vengano da ora in poi “secretati”. Non ve ne sarà traccia non solo nel giudizio finale ma neppure l’esito verrà più comunicato ai ragazzi e alle loro famiglie. Questi test hanno soprattutto un significato, quello di un confronto da scuola a scuola, da regione a regione, da Paese a Paese, da anno ad anno. Sono certamente schematici, rigidi, incompleti. Ma anche, entro certi limiti, oggettivi. Un testo, una frase, o la si capisce o no. Ora sono stati resi inutili. Tutti uguali, chi li supera bene e chi no. In Italia finora è costantemente emersa una sensibile differenza tra le scuole del Nord, con risultati superiori alla media Ocse – confronto immediato per la prova triennale Pisa ed estrapolabile da analoghi test eseguiti altrove per quelle Invalsi – e quelle delle altre aeree del Paese. La regioni del Centro Italia si attestano sulla media, e quelle del Sud e delle isole sotto la media.

IL GAP TRA NORD E SUD

La mossa di Fratoianni ha visto prima il rinvio ancora di un anno del curriculum dello studente annunciato cinque anni fa dalla riforma detta Buona Scuola e che dovrebbe completare il giudizio dato dai voti al momento del diploma finale. Poi l’azzeramento di fatto delle prove Invalsi, che si terranno sempre visto anche che non sono così impopolari (l’anno scorso partecipò il 96% degli studenti), ma sarà come non si fossero mai tenute. L’obiettivo è abolirle, con Fratoianni che si è rammaricato di non essere ancora riuscito nell’intento. «C’è ancora molto lavoro da fare», ha detto il 12 febbraio, «ma intanto abbiamo compiuto un primo passo, a tutela degli studenti e del loro corpo docente». Tutelati evidentemente contro l’invasività e lo spirito anti-ugualitario del binomio Invalsi-Pisa.

Fratoianni si è dichiarato fiero di «avere ristabilito due principi fondamentali» e cioè che «la valutazione delle conoscenze sono prerogativa del corpo docente e in particolare del consiglio di classe, in quanto frutto di un lavoro che tiene conto del profilo e della storia personale di ogni studente». E poi il colpo di grazia: «Gli studenti non sono numeri». Gli studenti vanno valutati o no? Soprattutto al Sud ci sono state anche proteste contro queste prove, di studenti e insegnanti, e lo slogan era ed è appunto «gli studenti non sono numeri». Si resta interdetti a fronte a tutto questo, soprattutto se affiancato alla realtà di voti finali di diploma dove al Sud non di rado abbondano le votazioni massime con lode, in misura tripla o quadrupla rispetto a molte scuole del Nord.

L’APPOGGIO DEL GOVERNO

Il governo poi ha detto bravo a Fratoianni. La Pd Anna Ascani, viceministra dell’Istruzione, ha dichiarato che il governo ha «fortemente voluto che i risultati delle prove Invalsi rimanessero fuori dal curriculum dello studente», previsto fra un anno e allegato al diploma. Il motivo è chiaro: «I test Invalsi non servono a valutare docenti e studenti». E a che servono allora? Sono, dice Ascani, «uno strumento conoscitivo che fornisce una fotografia dello stato di salute del nostro sistema di istruzione». Ma allora perché secretarli?

UNA VISIONE DEL MONDO GATTOPARDESCA

Il suicidio politico, sul medio e lungo termine, di queste scelte è facile da identificare. Un Paese che sta perdendo posizioni nella competizione internazionale, anche per il drammatico invecchiamento della sua popolazione, ha bisogno di più e non di meno confronti e stimoli. Nessuno ci regalerà nulla. Invece dietro le mosse di Fratoianni e colleghi, e il plauso di Ascani e quindi del governo, emerge chiaramente la visione del mondo e della vita così chiaramente espressa ne Il Gattopardo dal Principe di Salina nel suo famoso o famigerato colloquio con il piemontese Chevalley, là dove dice: «Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono [la dove “siciliani” sta ormai come parabola dell’Italia intera, ndr], ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali…il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana». E poi la botta: «I siciliani [gli italiani, molti italiani, ndr] non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti», e non vogliono venir disturbati nella «loro compiaciuta attesa del nulla». ..

Commenti   

#1 riki 2020-02-25 12:21
Il problema della scuola è sempre lì e passa per sostenere gli insegnanti invece che i ragazzi. E mentre questi sono giudicabili, giustamente, l'insegnante no e la mela marcia marcisce quelle buone.

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