Conflitto di stile e di sostanza.Salvini, Meloni e quel centrodestra che va in crisi sulla responsabilità

Lui fa le capriole sul virus, e per opportunismo diventa anti-italiano sui giornali stranieri. Lei è un paracarro, con alle spalle Almirante. La destra e l’imitatore padano

di Salvatore Merlo7.3.2020 ilfoglio.it –lettura 3’

Roma. È un conflitto di stile e di sostanza quello che si sta consumando a destra, tra la sbracatezza opportunista e la cultura di governo, tra la banderuola e il paracarro, insomma tra il piazzista col mojito e Giorgia Meloni, che ovviamente non è l’incarnazione della compostezza cavouriana ma assomiglia più alla politica che all’avanspettacolo perché ha robuste radici nella tradizione, e dietro di lei c’è Giorgio Almirante non Jerry Calà. E per capirlo bastava osservarli, ieri, in conferenza stampa al Senato, Meloni e Salvini, che si rappresentano abbracciati, e si sorridono, ma in realtà lottano avvinghiati come ben sanno Giancarlo Giorgetti, che è il saggio alla destra dello scalmanato, e Fabio Rampelli, che è invece il padrino politico della Meloni, lui che Salvini lo ha da tempo spiritosamente ribattezzato così: “Er Bugia”. Dal giorno in cui in Italia è esploso il coronavirus, la leader di Fratelli d’Italia, facendo violenza alla sua indole impetuosa, reprimendo parte del fastidio epidermico che prova per i Cinque stelle e per la “bulimia comunicativa” di Giuseppe Conte, ha subito spiegato sui giornali e in televisione che “le polemiche politiche adesso sono inutili”, “vedremo dopo”, “adesso dobbiamo collaborare”, “siamo al servizio dell’Italia”. E da lì non si è mossa. Al contrario Salvini, da bravo sciacallo, ha prima tentato di lucrare approfittando del malessere e dello smarrimento di tutti: “È così che il governo tutela la salute e la sicurezza degli italiani???”. Subito dopo però, come al mercato dei tappeti, ha provato a scippare qualcosa per sé, proponendo un governo di unità nazionale. Infine ha cambiato idea ancora una volta, ma solo quando ha visto che il gioco delle tre carte non funzionava. E dunque mercoledì ha rilasciato un’indecente intervista al quotidiano spagnolo El Paìs con la quale ha scaricato un camion di letame su quel paese (il suo e il nostro) che lui dice tanto di voler difendere.

Intervistato su carta e in video da El Paìs, nel momento in cui l’Italia passa per l’untore d’Europa e si contano i morti, nei giorni in cui lo spread sale e la Borsa cala, mentre gli stranieri fuggono e disdicono le prenotazioni negli alberghi, quando le compagnie aeree cancellano i voli verso Roma e Milano, ecco che lui, il patriota, si è messo a confermare i peggiori e più ingenerosi pregiudizi sull’Italia e la sua tenuta, la sua forza reattiva nei confronti del contagio. “Il governo italiano è incapace di gestire l’emergenza coronavirus”, diceva Salvini, aggiungendo poi, a sprezzo del ridicolo, che a lui non piacciono “le persone che cambiano continuamente idea”. Fino a un passaggio addirittura tragicomico, quando a un certo punto arriva a dichiarare di volere le elezioni immediatamente. E allora il giornalista spagnolo che lo intervista, e che evidentemente è più assennato di lui, trasecola: “Adesso?”, proprio adesso le vuoi le elezioni? In piena crisi da contagio? E mentre si vota, chi si occupa dell’emergenza sanitaria ed economica? Ci voleva uno spagnolo per ricordargli di mettere prima gli italiani.

Ma ecco che ieri mattina, Salvini ha cambiato di nuovo idea e registro, per la quarta volta. E allora, indossata la cravatta, funambolo e circense seduto tra Giorgia Meloni e Antonio Tajani, al Senato, ha ripreso a ripetere le cose che la leader di Fratelli d’Italia dice da almeno tre settimane: “Spirito di collaborazione”, “accogliamo lo spirito del messaggio del presidente della Repubblica”, “siamo mossi da volontà di condivisione”. Meloni, che ovviamente non è Golda Meir né Margaret Thatcher, oppone a Salvini una normalità di destra. E sin dall’inizio di questa vicenda del coronavirus si è dichiarata dispostissima a dare tutte e due le mani al governo – che pure vorrebbe mandare a casa – a tutela dell’efficienza dello stato. Perché si sta all’opposizione per migliorare il paese e non per sgovernarlo ulteriormente. Così, quello che appare sempre più chiaro è il conflitto e la distanza non più occultabili tra la destra patriottica e il populismo a torso nudo, tra la solidarietà nazionale e l’impostura di quel localismo nordico che al Pepeete faceva suonare l’inno d’Italia in ciabatte, tra un selfie e un rutto, uno spicchio di tette e un’ascella pezzata. Perché Salvini sta all’opposizione esattamente come stava al governo: scala il cielo delle iperboli di fetecchia in fetecchia, consumandosi nell’atto effimero dell’apparire. Lui oppone il situazionismo al metodo, lo sberleffo al ragionamento, il sentimento recitato alla gravità e alla ponderazione. Salvini si è imbellettato da leader nazionale, ma rimane settentrionalismo bauscia, Gigi e Andrea, “Rimini Rimini”. Alla fine tra lui e Meloni c’è la stessa distanza che esiste tra la solidità della prosa e la truffa del cabaret, tra un onesto film senza svolazzi e un cinepanettone.

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