SOCCORSO IN ZONA ROSSA. Privati, esercito e regioni, ecco il piano nazionale per aumentare i posti letto di terapia intensiva

Ce ne sono 5090 in tutta Italia e finora i pazienti che ne hanno bisogno sono 887. Ma cresceranno.

11.3.2020 Andrea Fioravanti linkiesta.it - lettura 5’

Barbara Cittadini, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata: «Tutte le regioni devono fare protocolli condivisi per coordinare al meglio la componente pubblica e privata»

“Posti letto” sono diventate le due parole più importanti nell’emergenza coronavirus. In Italia tra ospedali pubblici e privati ce ne sono solo 5.090, 8 ogni centomila abitanti (dati dell’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale), ma rischiano di non bastare. Il problema non è il covid-19 in sé, ma la sua rapida diffusione. Se tutti gli italiani lo prendessero nello stesso momento, il sistema collasserebbe. Secondo l’ultimo bollettino della Protezione civile, il 16% dei pazienti ricoverati in ospedale per il coronavirus ha bisogno di un posto letto che garantisca una macchina per respirare. A oggi sono 877, 144 in più rispetto a lunedì. Il 2 marzo erano 166. L’escalation fa paura. Ecco perché lunedì il governo ha attuato la misura drastica di chiudere le scuole e di vietare gli spostamenti non necessari in tutta Italia fino al 3 aprile. Nessuno vuole arrivare al dilemma di dover escludere un paziente che ha bisogno della terapia per coronavirus, o peggio di scegliere tra due persone bisognose quella che ha più possibilità di sopravvivere, in mancanza di spazio. «Temo che, in alcune delle realtà lombarde, questo momento sia già arrivato. Temo che, in alcune situazioni, i miei colleghi siano costretti a fare delle scelte», ha detto martedì al programma Unomattina su Rai1 il professor Massimo Galli, primario infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano. Non è un problema solo per gli anziani. In Lombardia l’88% dei pazienti in terapia intensiva ha meno di 75 anni. Il 37 per cento ha tra i 65 e i 74 e e l’8 per cento tra i 25 e i 49 anni.

Per questo il ministero della Salute ha previsto con una circolare di aumentare del 50% i posti letto in terapia intensiva e raddoppiare quelli nelle unità di pneumologia e malattie infettive. La Centrale Remota operazioni del soccorso sanitario (Cross), della Protezione civile ha finora smistato 15 pazienti in Lombardia nelle altre regioni italiane tra cui Lazio, Toscana e Liguria. Il primo obiettivo è aumentare i posti negli ospedali del Nord Italia che ospitano la maggior parte dei pazienti. «Le previsioni mostrano che al 26 marzo potremmo avere in Lombardia almeno 18 mila casi di Covid-19 ricoverati, di cui un terzo in terapia intensiva. Sarebbe una cosa impossibile» da gestire ha detto ad Adnkronos Antonio Pesenti, direttore del Dipartimento di anestesia-rianimazione ed emergenza-urgenza del Policlinico di Milano, che in Lombardia coordina l'unità di crisi per le terapie intensive.

In Lombardia ci sono finora 440 malati di coronavirus in terapia intensiva e 724 posti letto con macchinari per la respirazione nei vari ospedali pubblici e privati. A questi si aggiungono 176 posti previsti per pazienti con patologie particolari come aneurismi o tumori che si trovano in dei presidi mono specialistici come l’istituto neurologico Carlo Besta o lo Ieo, il centro di oncologia a Milano. Lunedì, l’assessore alla sanità della Regione Lombardia Giulio Gallera ha detto che sono stati creati altri 223 posti per la terapia intensiva e altri 150 saranno ricavati nella prossima settimana. Spazi guadagnati grazie ai respiratori mobili che permettono di creare postazioni perfino nei corridoi degli ospedali, ma soprattutto bloccando l’attività delle sale operatorie che possono contenere ciascuno tre posti letto per terapia intensiva.

L’obiettivo è lasciare sempre una porzione di posti letto liberi rispetto all’emergenza. La Regione Lombardia ha aumentato anche i posti letto di sub-intensiva, cioè per quei pazienti che non hanno ancora bisogno una ventilazione assistita ma non ancora di un tubo che gli getti nei polmoni l'ossigeno. Per farlo bastano delle mascherine continuous positive airway pressure, i Cpap, che sono stati acquistati in quantità dalla Regione e nel giro di due settimane negli ospedali lombardi sono passati da 200 a 1600. Lunedì la centrale acquisti della pubblica amministrazione (Consip) ha chiuso la gara per fornire agli ospedali 3.918 ventilatori per terapia intensiva e sub-intensiva. Entro il 12 marzo saranno consegnati i primi 119 ventilatori, 200 ventilatori «tra 4 e 7 giorni», 886 «tra 8 e 15 giorni» e 2.713 «tra 16 e 45 giorni». A questi si aggiungo le 300 apparecchiature fornite dalla società Siare Engineering.

Anche gli ospedali privati accreditati fanno la loro parte ospitando i pazienti affetti da Covid-19 così come quelli “normali” per ridurre la pressione sugli ospedali pubblici come spiega Barbara Cittadini, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop): «Ci tengo a chiarire che non siamo dei “privati”, ma la componente di diritto privato del Sistema sanitario nazionale. C’è una bella differenza. Fin da subito abbiamo convertito i nostri reparti per gestire l’emergenza e abbiamo inviato alla Protezione civile e al ministero della Salute un monitoraggio dei posti letto regione per regione in modo puntuale. Abbiamo inserito anche i posti letto “tecnici”, che di solito sono utilizzati come post chirurgici».

I posti letto forniti dai privati sono 1300, ma il problema è che ci sono differenze tra regione e regione. Per esempio in Calabria ci sono 20 posti per terapia intensiva e in Sicilia 102, i Liguria 45 e in Abruzzo solo 17. La scelta non dipende dagli ospedali privati ma dalle amministrazioni regionali che in passato hanno ritenuto sufficiente il numero di posti a disposizione nel pubblico e non ne hanno chiesti di più per il privato. Anche per questo la neoeletta presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, ha chiesto di aumentare di 50 i posti letto in terapia intensiva e di 140 posti nei reparti di pneumologia e malattie infettiva. «Lancio un appello: tutte le regioni devono fare protocolli condivisi per coordinare al meglio la componente pubblica e privata, così da suddividersi i compiti in caso di emergenza. Finora lo hanno fatto solo Lombardia e Marche. Bisogna agire prima che il problema esploda in tutta Italia», chiede Cittadini.

L’Esercito è già corso ai ripari per fornire un aiuto in caso di un aumento vertiginoso dei contagiati. Dal 5 marzo nella Caserma Annibaldi di Milano, l’ospedale militare nel quartiere popolare di Baggio, è disponibile un’area con sistema di biocontenimento per ospitare i pazienti risultati positivi al tampone e asintomatici. Dalla caserma sono stati inviati all’ospedale di Lodi sette membri delle forze armate per aiutare i medici che stanno gestendo l’emergenza: un cardiologo, due anestesisti e quattro infermieri professionisti. Sono in tutto 96 posti letto, a cui si aggiungono i 56 del Comando Aeroporto di Linate dell’Aeronautica Militare, anch'esso messo a disposizione. Non solo, se la zona rossa dovesse allargarsi, la Difesa all’occorrenza potrà fornire su richiesta delle autorità locali 6.600 posti letto in 2.200 stanze in tutta Italia per i cittadini che dovranno sottoporsi ai periodi di quarantena.

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