La tregua tra maggioranza e opposizione è finita: chiedere a Guido Bertolaso

Il virus ha cancellato ogni interesse degli elettori per i sondaggi, le performance personali dei leader, i loro indici di gradimento: non gliene frega più niente a nessuno. Lo scontro sull’ex capo della Protezione civile indica invece che la politica tornerà presto a litigare

16.3.2020 Flavia Perina linkiesta.it lettura 3’

L’arrivo a Milano di Guido Bertolaso come consulente speciale per l’emergenza sanitaria, nelle prossime ore, è solo il segnale più visibile della faglia che si è aperta tra maggioranza e opposizione, probabilmente destinata ad allargarsi nell’immediato futuro. Il sostanziale disconoscimento da parte della Lombardia del Commissario Domenico Arcuri e del capo della protezione civile Angelo Borrelli, non è episodio da poco: mai si era vista una Regione entrare in conflitto col governo centrale durante una crisi di questa portata. Con minor clamore anche il Veneto di Luca Zaia ha annunciato la sua ribellione ai protocolli nazionali, programmando da oggi test random (su base volontaria) tra i cittadini in coda ai supermercati, allo scopo di individuare e isolare eventuali malati asintomatici di Covid: è il modello coreano, assai diverso da quello adottato ufficialmente dall’Italia che prevede test solo sui pazienti sintomatici entrati in contatto con realtà infette.

A quarantacinque giorni dai primi casi di Coronavirus segnalati nel nostro Paese comincia a rompersi il clima di condivisione politica che, seppure non dichiarato, seppure tra alti e bassi, è stato il sottotesto della gestione dell’epidemia finora. Succede mentre il Paese, al contrario, esibisce un desiderio di solidarietà e unità nazionale che ha colpito tutti: saranno pure ingenue le schitarrate con Fratelli d’Italia dai balconi, o l’esibizione di bandiere tricolori dallo Zen di Palermo alla Barriera di Torino, ma segnano un clima emotivo molto diverso dal passato, una richiesta di “fare comunità” molto precisa.

Guido Bertolaso e Giuseppe Conte sarebbero stati una coppia perfetta in questa fase. L’innegabile ruolo di riferimento che la crisi ha assegnato al premier sarebbe stato rafforzato dalla reputazione d’efficienza del più noto problem solver italiano, e anche politicamente l’operazione avrebbe avuto un suo senso: aderendo a una proposta lanciata da Matteo Salvini e Matteo Renzi, l’esecutivo si sarebbe costruito un’assicurazione contro nuove lacerazioni interne ed esterne. Peccato che non sia successo (e chissà che qualcuno, ora che Bertolaso arriva lo stesso, non lo rimpianga).

Tuttavia la finestra per dare al Paese quel che chiede – una gestione autorevole, unitaria, non conflittuale di questo enorme disastro sanitario, sociale ed economico – non è ancora chiusa completamente. Il virus ha cancellato ogni interesse degli elettori per i sondaggi, le performance personali dei leader, i loro indici di gradimento: non gliene frega più niente a nessuno, e così continuerà a lungo. Il rinvio delle elezioni Regionali e amministrative ha fatto sparire il campo guerresco a cui i partiti si stavano preparando da mesi. Insomma, il consueto rubabandiera tra populismo di lotta e di governo è diventato un gioco senza senso. Nessuno se ne avvantaggia e tutti dovrebbero chiedersi se non sia, questa, una straordinaria occasione di riabilitazione per classi dirigenti comunque ammaccate, per una maggioranza traballante e per un’opposizione ormai disillusa sulla possibilità di una fatale spallata.

 

Massimo Cacciari, in un insolito racconto distopico per L’Espresso, ha descritto un’immaginaria Italia Felix del 2040, che celebra come festa nazionale la data del lockdown: in questo scenario da fantascienza il coronavirus ha segnato un salto di qualità delle classi dirigenti mentre la sospensione dei vincoli di bilancio europei ha generato provvedimenti efficaci e condivisi, avviato una seria lotta all’evasione fiscale e alle diseguaglianze, implementato il servizio sanitario, ricucito il Nord e il Sud. E’ un sogno a occhi aperti, ovviamente, ma le condizioni politiche per provarci ci sono tutte. Ci sono i soldi (anche se a debito) con l’agognata libertà di sforamento dai parametri di Maastricht. C’è il consenso popolare. C’è la sostanziale sospensione delle scadenze elettorali. C’è il biasimo dell’opinione pubblica per ogni diatriba di Palazzo, che stempera i toni dell’opposizione e la spinge al dialogo. Manca solo il coraggio del tentativo: la speranza è che qualcuno lo trovi prima che anche questa emergenza diventi teatrino delle vanità e della propaganda.

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