Conte, Salvini, Boccia e Meloni Ma con leader così perché gli europei dovrebbero firmarci cambiali in bianco?

Non riusciamo a gestire senza scontri neanche un sussidio da 400 milioni ai poveri, figuriamoci la grande torta degli aiuti per ripartire. Le risorse sbloccate dal virus hanno fatto tornare una cosa di cui non sentivamo la mancanza: la polemichetta politica

Flavia Perina30.3.2020 linkiesta.it -lettura 3’

La fine del lockdown per la vita associata, per il lavoro, per l’economia è ancora lontana – metà aprile, forse anche più tardi – ma il reopen della politica è già cominciato. A un mese dall’avvio dell’emergenza i nostri leader si sono stufati di lasciare i riflettori ai virologi e agli statistici, le decisioni ai comitati scientifici, la gestione delle emozioni nazionali a papa Bergoglio e al Presidente della Repubblica.

Sono stanchi anche di ostentare sentimenti di solidarietà bipartisan che non provano, sobrietà verbali che non appartengono al loro lessico quotidiano: solo così si spiega la solitaria accelerazione di Giuseppe Conte sul “decreto poveri” con conseguente rivolta dei sindaci del centrodestra contro il medesimo, l’improvviso impennarsi della vis polemica nelle dichiarazioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma anche i battibecchi istituzionali tra Francesco Boccia e Attilio Fontana a proposito dell’efficienza delle Regioni e il ritorno del tam-tam sull’uscita dall’Europa.

L’epicentro di questo sbracamento improvviso e collettivo sono i quattrocento milioni di euro destinati ai Comuni per sostenere chi non ha soldi per fare la spesa, usato ieri dal Centrodestra come miccia della riapertura delle ostilità. È senz’altro un provvedimento ad alto tasso di furbizia, col quale Palazzo Chigi si è assicurato di spostare sui sindaci la responsabilità di salvare il disperato esercito dei lavoratori in nero, dei pensionati poveri, delle colf o degli stagionali senza più reddito.

Poteva essere concordato, non lo è stato. Ma da qui ad additarlo come una provocazione, mobilitando i municipi per gridare alla truffa, ce ne corre. Tuttavia è successo, e forse è persino un bene: la zuffa sul provvedimento offre agli italiani un’anticipazione di quel che accadrà quando sul tavolo ci saranno i soldi veri, le scelte autentiche di politica economica, i provvedimenti di serie A per far ripartire la macchina del Paese ed evitare che l’epidemia lo condanni a un decennio di recessione. Se tanto ci dà tanto, altro che ricostruzione: qui rischiamo di veder demolito pure il poco sopravvissuto al disastro.

Il combinato disposto tra i sondaggi, che danno tutti i grandi partiti e leader in ascesa, e l’enorme disponibilità di spesa in deficit che si è aperta, è un fattore potenzialmente dirompente. Generali e colonnelli si sentono al riparo dal giudizio dell’opinione pubblica. La tentazione di una gestione arrogante e vanitosa della partita è irresistibile. Sul piatto ci sono non solo molti soldi ma anche i rapporti di forza del dopo-crisi, che saranno consolidati dall’enorme tornata elettorale d’autunno – frutto dei rinvio di tutte le regionali e amministrative di primavera – e costruiranno il tesoretto con cui gestire il resto della legislatura.

È questa la disordinata gara che si è aperta nel week-end, in vista della fine del blocco e del riavvio della politica nel prossimo mese. Non è un bello spettacolo, e non lo vediamo solo noi. Lo vede pure l’Europa, alla quale stiamo chiedendo di rivoluzionare ogni preesistente abitudine, regola, equilibrio, per socializzare le conseguenze dell’emergenza in nome della assoluta eccezionalità della situazione, adirandoci per le sue resistenze e obiezioni, senza considerare che una parte di quella diffidenza è legata allo spettacolo di inaffidabilità e divisione che riusciamo a dare pure adesso, con i morti che si contano a centinaia ogni giorno.

Firmereste una cambiale in bianco per miliardi a un Paese che non riesce a gestire senza scontri neanche su un sussidio da 400 milioni ai poveri? Questa è la domanda da rivolgere alla nostra politica. Tramontata la speranza di una gestione unitaria e responsabile della crisi, ci risparmino almeno lo spettacolo di una caotica lock-exit usata come trampolino delle loro ambizioni.

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