Che destra che faIl golpe di Orbán è la pietra tombale sul governo italiano di unità nazionale

La decisione ungherese scava un solco incolmabile fra le due metà della politica nostrana. A dividere non sono più programmi, ma i valori fondanti

Mario Lavia 1.4.2020 linkiesta.it lettura 3’

Dunque il Parlamento di Budapest si è spogliato dei suoi poteri e li ha devoluti a un uomo solo, il premier Viktor Orbán. Con un gesto formalmente libero – grazie al fatto che la maggioranza è in mano al premier – il Parlamento ungherese si è sostanzialmente suicidato, in modo non molto diverso dall’Assemblea nazionale francese che nel ’40 votò i pieni poteri al maresciallo Pétain, lo ha ricordato Stefano Ceccanti, per non dire dei successivi cedimenti del Parlamento italiano a Benito Mussolini.

Quello consumato sulle rive del Danubio è un esempio di dittatura della maggioranza per un atto “hobbesiano” che prevede l’assunzione, si direbbe oggi, di pieni poteri da parte di un uomo solo, che presto potrebbe definirsi come tiranno.

Per i socialisti, all’opposizione, è infatti l’inizio della dittatura. E anche l’Europa si allarma, anche se né da Bruxelles né dal suo partito, il Ppe, non arrivano condanne chiare. Perfino il partito nazionalista Jobbik, più a destra del partito orbaniano Fidesz, ha parlato di “colpo di Stato”.

Nell’atto di Budapest non v’è traccia di “eccezione” che giustifichi la cessione dei poteri nelle mani di un uomo solo, il che lascia facilmente presagire una deriva autoritaria strutturale, in un Paese che dal fascismo dell’ammiraglio Horthy al comunismo di Rákosy è piuttosto avvezzo all’autoritarismo. Anche per questo i paragoni con la recente situazione italiana non hanno fondamento o sono dettati da ignoranza e malafede. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, da molto tempo affascinata dal neo-dispotismo di Orbán, sono i portatori di questa mala propaganda che fa credere che oggi Roma sia uguale a Budapest. Fanno finta di non sapere che in Italia esiste un Parlamento che può togliere in qualsiasi momento la fiducia al governo Conte mentre in Ungheria ciò non è più possibile, tanto per dirne una. E l’affare Orbán rischia di fare strike del clima collaborativo sulle misure anti-virus.

Il punto infatti non è più politico (la critica all’uso dei famosi Dpcm che bypassano il Parlamento, una critica di tipo democratico fatta dagli orbaniani!) ma più di fondo. «Vorrebbero portare in Italia il modello ungherese», dice il dem Andrea Romano memore dell’invocazione del Papeete sui pieni poteri, e di qui al valutare come fascisti i due capi della destra il passo è breve: l’epiteto non viene scagliato davanti alle tv via Skype ma a sinistra vola di bocca in bocca. In parte è anche un antico riflesso condizionato che scatta come il ginocchio colpito dal martelletto del medico ogniqualvolta si senta odore di lesione dello stato di diritto, ma questa volta è come se fosse caduto il velo che sin qui ha protetto la destra italiana dall’accusa di essere un pericolo per la democrazia o quantomeno un problema insolubile per una futura collaborazione di governo in nome di un superiore interesse nazionale.

Se fino a pochi giorni fa infatti si discettava su un governo Draghi di unità nazionale – come nel dopoguerra – mentre ora l’affare Orbán scava un solco incolmabile fra le due metà della politica italiana perché mette in causa non più programmi ma valori fondanti, dato che – come sostiene il giurista Francesco Clementi – «non ci sono vaccini che proteggono dalla fine della democrazia se chi è chiamato a proteggerla non lo fa». Orbán come Conte? Non scherziamo: «Chi fa questi paragoni non solo confonde e si confonde, ma indebolisce proprio quelle istituzioni che rendono salda la nostra democrazia: il diritto di parola, di critica dialettica, e di agire politico». Già era arduo immaginare un governo guidato dall’europeista Draghi con ministri antieuropei, come nota sul Sole 24 Ore Roberto D’Alimonte, figurarsi un assemblaggio contraddittorio su “cosucce” come la concezione della democrazia e della libertà. E non è in affare “loro”, degli ungheresi, come afferma sornione Salvini, così come non fu affare dei cileni il golpe del ’73 che infatti cambiò la politica italiana: e tanto più per il fatto di far parte, Italia e Ungheria, del medesimo Europarlamento.

C’è da chiedersi se il pronunciamento pro-Orban del tandem della destra (mentre il “nizzardo” Berlusconi, già testimone di nozze del figlio di Erdogan, appare sempre più svagato) possa nuocere sull’attuale clima di affannata collaborazione fra governo e opposizione: certo non stupisce il silenzio di Conte sulla vicenda ungherese proprio per non acuire i contrasti, e tuttavia non sarà il bon ton dell’avvocato del popolo a celare l’impossibilità di un rapporto normale con questa destra italiana. Per l’immediato e soprattutto per dopo, quando bisognerà ricostruire il Paese.

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