Legge anticorruzione. Rifare la legge sugli appalti

Basterebbe che l'appaltatore garantisse l'intero appalto

di Domenico Cacopardo 8.9.2019 www.cacopardo.it

Quella fatta da Delrio complica la vita agli onesti e agevola invece chi vuole delinquere

Torniamo sul tema caldo delle nuove norme anticorruzione per completare il ragionamento di ieri. Chi segue i problemi della pubblica Amministrazione sa (come, a pelle, credo che sappia anche Giuseppe Conte, attuale primo ministro) che la corruzione si combatte certo con il diritto penale, ma soprattutto con il diritto amministrativo. Il germe di questo grave reato che incide prima di tutto sulla terzietà pubblica e poi sull'economia, si annida in una magica parola: «Discrezionalità». Essa consiste nella facoltà conferita al responsabile di una procedura di indicare a discrezione il beneficiario. L'evoluzione delle norme, peraltro, ha abbondantemente arato la discrezionalità, nascondendola in un'altra magica parola: «qualità». Che cosa c'è di più discrezionale di un giudizio di qualità?

Laddove, perciò, leggendo una legge, scorgerete la parola «qualità», là troverete il varco attraverso il quale si insinua la discrezionalità e, ovviamente, la possibilità che il responsabile scelga per interessi non strettamente pubblici, anzi strettamente privati. Privatissimi. Se avete voglia, andate in rete e scorrete il codice degli appalti, la legge di cui Graziano Delrio e Raffaele Cantone vanno a torto orgogliosi. Troverete un sistema complicatissimo, inattuabile in tempi brevi per le piccole commesse e ancora più complicato per le grandi, per le quali, peraltro, si pretende, in ogni caso, un giudizio di qualità.

Spesso questo è attribuito a una commissione, ma ciò non risolve il problema, visto che in ogni organo collegiale ci può essere una (o più) pecora zoppa o un esperto, più esperto degli altri che, per tanti motivi, è capace di imporre il suo giudizio agli altri (gli ordini professionali e le università fisiologicamente sono soggetti piramidali, nei quali chi sta al vertice è difficilmente contrastabile). Sarebbe lodevole sottoporre il codice degli appalti a una approfondita rilettura, rendendo numerici tutti i parametri necessari per la scelta di un contraente privato, compresi quelli definibili qualitativi.

Per raggiungere questo scopo occorrono due requisiti. Il primo è una progettazione così avanzata da consentire un'analisi puntuale della natura delle offerte economiche. Il secondo è reintrodurre il miglior prezzo (il massimo ribasso), stupidamente demonizzato negli ultimi anni. Stupidamente e dolosamente, giacché chi si oppone al miglior prezzo difende di fatto la possibilità di manovrare sugli altri fattori di giudizio. Certo, nel sistema italiano per il quale le garanzie dell'appaltatore sono limitate a una quota modesta dell'importo dell'appalto, il massimo ribasso spinge le imprese a esagerare, a scapito della qualità della loro fornitura. Ma se, come accade nei tender internazionali, la garanzia copre il valore dell'intera opera, risulta evidente che il massimo ribasso possibile sarà in ogni caso quello ragionevolmente sostenibile.

Sembra complesso, ma è facile, come sono facili tutti gli istituti di common law: concorso, partecipazione con garanzia integrale dell'opera, offerta economica. Il tutto riscontrabile in numeri non a parole. Discrezionalità dei responsabili dei procedimenti annullata. Occasioni di corruttela annullate, almeno nella fase di scelta del privato contraente. Possibilità di intervento dell'autorità giudiziaria maggiori e di maggiore efficacia, visto che si tratta di verificare la rispondenza della scelta dell'appaltatore a criteri elementari facilmente riscontrabili.

Il ministro Alfonso Bonafede, prima di incoronarsi principe della lotta alla corruzione, approfondisca il problema e integri, in Parlamento, le manchevolezze di un disegno di legge ideologico. E l'ideologia è la madre di tutte le tirannie. Anche quando assume l'aspetto della difesa della morale pubblica (già Bonafede ha rivendicato questo merito al proprio disegno di legge): la scienza politica e il diritto costituzionale spiegano che la legge ha funzione regolatoria dei rapporti civili sulla base di principi civili. La corruzione va combattuta non perché è un peccato, ma perché è un reato che confligge con l'ordine pubblico economico, sotto il profilo della turbamento delle concorrenza, dell'infiltrazione delle mafie e per la grave devianza dell'esercizio dei pubblici doveri affidati all'Amministrazione. Altrimenti, si va verso uno Stato capace di infilarsi nelle camere da letto o, peggio, capace di censurare le opinioni difformi da quelle dei propri padroni.

Come sempre, si dovrebbe partire dalla realtà reale, non da quella virtuale inventata dalla macchina propagandistica di Rousseau o, peggio, della Casaleggio&Associati. Per poi tornarci, alla realtà reale, con quelle misure che ne favoriscano lo sviluppo nella trasparenza.

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