La ripresa nel ’21 ci sarà solo se si agisce in fretta. Parla Daveri

La politica italiana sarà utile alla crescita se supera lo scontro ideologico sul Mes e velocizza la liquidità

di Mariarosaria Marchesano 16.4. 2020 ilfoglio.it lettura4’

Milano. Come sarà la recessione che ci aspetta? Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, l’Italia vedrà un calo del pil nel 2020 del 9,1 per cento seguito da una crescita del 4,8 per cento il prossimo anno. Nessun paese sarà risparmiato dagli effetti del “grande lockdown”, ma nell’Eurozona Roma sembra destinata a pagare il conto più salato dopo Atene e questo preoccupa non poco gli investitori come si è visto dallo spread che ieri è volato a 240 punti base e dal tonfo di Piazza Affari (-4,8 per cento) che è stata la peggiore tra le Borse europee in una giornata in cui le previsioni del Fondo monetario hanno pesato sull’umore degli investitori. “Nonostante gli sforzi di governi e banche centrali, la crisi del coronavirus avrà un pesante impatto sull’economia mondiale – dice al Foglio l’economista Francesco Daveri dell’Università Bocconi – Credo che i mercati abbiano preso di colpo consapevolezza del fatto che quest’anno mancheranno all'appello circa 5 mila miliardi di dollari, che rappresentano il controvalore di una decrescita globale del 3 per cento. In altre parole, è come se venisse a mancare il contributo di un paese come il Giappone oppure di Francia e Italia messe insieme. Vero è che il nostro paese arretrerà più di tutti, ma, attenzione, il calo medio a livello europeo sarà del 7,5 per cento con economie come quella tedesca e quella francese che diminuiranno del 7 per cento all’incirca. Detto questo, resto convinto che la crisi per ora non cancella la voglia di ripartire di tante imprese e persone e che se la politica europea farà la sua parte, contenendo il virus e aiutando la ripresa, alla brusca recessione potrebbe seguire una rapida ripresa”.

Secondo Daveri, le previsioni del Fondo monetario potrebbero avere l’effetto di sbloccare l’impasse al Consiglio europeo, che sta valutando le misure proposte dall’Eurogruppo sulle quali si esprimerà il 23 aprile. “Come minimo il Consiglio dovrebbe approvare il pacchetto cercando di migliorarlo nella parte in cui – mi riferisco al recovery fund – si apre la possibilità di rafforzare la risposta fiscale con l’emissione di debito comune. Ormai non c’è alcun dubbio sul fatto che questa crisi colpisca tutti i paesi dell’Eurozona, anche se non esattamente allo stesso modo, e che per la ripartenza serva rapidità e coesione”.

Nell’emergenza coronavirus gli interventi diretti decisi finora dal governo italiano – fra sostegno ai redditi, spese sanitarie e altre misure fiscali – valgono l’1,2 per cento del pil (circa 20 miliardi di euro), uno dei valori più bassi fra i paesi del G20 . Ma se in questa valutazione si include il valore delle garanzie offerte sui prestiti per aumentare la liquidità alle imprese si scopre che l’Italia è seconda solo alla Germania. “Mi rendo conto che sono stati fatti importanti sforzi, ma mancano due cose – prosegue Daveri – Il primo è che la politica dovrebbe fare qualcosa di utile per la ripresa superando il livello ideologico del dibattito sul Mes. Per l’Italia sarebbe importante poter attingere a finanziamenti senza condizioni, seppure finalizzati alla spesa sanitaria. In secondo luogo, si potrebbe velocizzare l’afflusso di liquidità alle imprese, tenendo in maggior considerazione le esigenze delle realtà che non hanno rapporti consolidati con le banche. Mi domando se dal governo sono state valutate tutte le opzioni previste in sede di Commissione europea”. Cosa succederà dopo il coronavirus dipenderà anche dalla velocità di reazione. Il Fmi ha previsto per l’Italia una crescita di quasi il 5 per cento nel 2021 basandosi sul presupposto che lo choc sanitario venga contenuto in tre mesi e che si intervenga rapidamente a sostegno dell’economia. “Se per motivi burocratici, gli aiuti alle imprese stentassero ad arrivare, è chiaro che questa previsione potrebbe rivelarsi troppo ottimistica”, dice Daveri secondo il quale, a differenza di situazioni analoghe del passato, la crisi del coronavirus presenta il vantaggio di non essere accompagnata da uno choc finanziario, cosa che rende una rapida ripresa perfettamente plausibile.

Secondo gli aggiornamenti all’indagine annuale realizzata dal centro di ricerche Met, nei prossimi 12 mesi ci sarà nel sistema produttivo un calo di fatturato del 19 per cento e del 9 per cento per l’occupazione, il che non dovrebbe sorprendere più di tanto considerato il grave calo di pil previsto. Ma l’aspetto di maggio rilievo messo in evidenza dal Met è che i problemi sembrano concentrarsi su quelle imprese di dimensioni piccole, ma spesso non piccolissime, che hanno provato negli ultimi anni a sviluppare azioni di ricerca e innovazione, oltre che di presenza sui mercati (anche internazionali). Il coronavirus, dunque, sembra destinato a colpire di più realtà innovative e dinamiche ma non del tutto consolidate in termini di risultati di mercato e che sono indebitate per il fatto di aver credito e investito in progetti di sviluppo. Piccoli “campioni” italiani, che presentano un fabbisogno elevato di capitale circolante, per sostenere investimenti e ricerca. Sarebbe un peccato farle morire asfissiate per mancanza di liquidità.

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