Come colmare il gap generazionale. Parla Tiziano Treu (Cnel)

Le retribuzioni dei giovani sono da tempo molto inferiori a quelle degli adulti (il 67% nel 1983) e si sono ulteriormente ridotte (nel 2015 erano il 60%).

Tiziano Treu 2.5.2020 formiche.net lettura 5’

Le retribuzioni dei giovani sono da tempo molto inferiori a quelle degli adulti (il 67% nel 1983) e si sono ulteriormente ridotte (nel 2015 erano il 60%). Distanze retributive così gravi pregiudicano l’autonomia personale e familiare. Il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 30 anni è ancora tre volte quello della media nazionale. I Neet restano in numero ancora inaccettabilmente alto, pari a oltre 2 milioni

Il divario generazionale, già ampio, si aggrava se si considerano, oltre agli indicatori di ricchezza, le condizioni e i redditi di lavoro. Le retribuzioni dei giovani sono da tempo molto inferiori a quelle degli adulti (il 67% nel 1983) e si sono ulteriormente ridotte (nel 2015 erano il 60%). Le distanze sono ancora più accentuate se si considera il rapporto dei salari dei giovani con le retribuzioni degli over 60: erano al 70% nel 1984 e sono calati al 50% nel 2015.

Queste diseguaglianze dipendono da vari fattori, in particolare dal sistema retributivo, prevalente nell’impiego pubblico, ma presente anche nel settore privato, che premia l’anzianità del dipendente piuttosto che la crescita della professionalità e del merito. Distanze retributive così gravi pesano negativamente sulle condizioni dei giovani, pregiudicando la loro autonomia personale e familiare, tanto più che si accompagnano spesso con scarse possibilità di avere lavori stabili e con lunghi periodi di inoccupazione e disoccupazione.

Analogamente non accennano a diminuire le distanze nelle condizioni sul mercato del lavoro e la fine della crisi non le ha ridotte. Il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 30 anni è ancora tre volte quello della media nazionale. Inoltre i giovani Neet restano in numero ancora inaccettabilmente alto, pari a oltre due milioni. Il divario delle condizioni è grave anche per i giovani che sono occupati; la percentuale di occupati a termine è infatti nettamente più alta della media nazionale, 30% contro la media italiana del 17%. Inoltre, nove giovani su dieci sono assunti a termine e, fatto ancora più preoccupante, si allungano i tempi del loro passaggio al tempo indeterminato: dopo un anno ciò si verifica solo nel 20% dei casi.

Tale squilibrio nell’andamento dell’occupazione tra giovani e anziani si è accentuato negli ultimi anni, in particolare a seguito dell’innalzamento dell’età pensionabile, che ha mantenuto al lavoro quote crescenti di persone che erano in uscita: il tasso di occupazione fra 55 e 65 anni è cresciuto dal 29,8% del 1993 al 50,3% del 2016. L’introduzione di quota 100 è un falso rimedio, perché da una parte scarica il costo delle pensioni, già alto, sulle future generazioni e dall’altra non garantisce affatto un equilibrato ricambio generazionale come promesso da chi ha approvato il provvedimento.

I ritardi nell’istruzione si cumulano con le difficoltà che i nostri giovani incontrano nella transizione tra scuola e lavoro. L’Ocse ha stimato il numero di anni che i giovani trascorrono nello stato di occupazione nei cinque anni successivi alla fine del percorso scolastico e mostra che il nostro Paese è tra gli ultimi della classifica con un numero di anni poco superiore a tre.

Un’altra indicazione importante riguarda il gap dei vari indicatori fra le aree del nord e quelle del sud: un divario che coinvolge tutti gli italiani, ma che in particolare colpisce i giovani. Le criticità ora rilevate, unite alla debole funzionalità dei servizi all’impiego, contribuiscono a spiegare i gravi fenomeni di mismatch tra le competenze dei giovani e le skill richieste dalle imprese, che si traducono in migliaia di posti vacanti per lo più qualificati non coperti e per altro verso un’alta percentuale di giovani sovraistruiti.

Gioca un ruolo negativo, infine, la frammentazione delle misure legislative e di politica sociale con cui si interviene in questa materia, e a dire il vero non solo in questa.

Le ricerche e le esperienze mostrano infatti come, per perseguire il riequilibrio generazionale, sia necessario un complesso di misure fra loro coerenti e durevoli nel tempo che intervenga nei vari fattori di divario rilevati. Si tratta sia di misure di protezione sociale sia anche e soprattutto di misure che sostengano e promuovano l’autonomia dei giovani. Fra le prime ricordo la previsione di un reddito minimo legale che riguarda tutti i percettori di bassi salari; ma anche qui in particolare i giovani che sono spesso presenti in lavori precari e non coperti dalla contrattazione collettiva. Analogamente i principali ammortizzatori sociali lasciano ancora scoperti di tutela del reddito una quota consistente di lavoratori precari.

Inoltre, lo stesso reddito di cittadinanza, che si propone di contrastare la povertà dei cittadini e dei lavoratori, pone condizioni che escludono o riducono fortemente la presenza di giovani fra i beneficiari. Ancora più importanti per il futuro dei giovani sono le misure dirette a promuovere la loro autonomia personale. In primo luogo viene l’istruzione, perché una buona educazione fino ai livelli terziari è sempre più una condizione essenziale per cogliere le opportunità delle nuove tecnologie e dello sviluppo che queste possono alimentare.

Per sostenere l’autonomia dei giovani sono state avanzate varie proposte anche in sede parlamentare. Segnalo in particolare l’autonomia abitativa, da sostenersi con politiche di affitti sostenibili e il sostegno ad avviare attività autonome e imprenditoriali che comprende non solo agevolazioni fiscali, ma servizi di consulenza mirata e politiche del credito più attente a valutare i meriti dei giovani.

Il reddito di opportunità, proposto dalla Fondazione Bruno Visentini come strategia di contrasto al divario generazionale, è del tutto opportuna e su questa occorre concentrare un ammontare di risorse adeguato invece di disperderle in molti piccoli rivoli. Una misura simile, di attribuire una dotazione personale di risorse, finanziata anche con fondi pubblici, della quale i giovani possano disporre per avviarsi nella vita adulta, è stata introdotta dal legislatore francese e sembra aver portato buoni risultati. È un esempio di cui il nostro legislatore, e anche l’Unione europea, dovrebbero tenere conto.

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