La tregua di Giorgetti e la scalata di Conte al Quirinale. Parla il prof. Campi

Salvini? Non deve temere Zaia, la Lega è un partito leninista. M5S? Ormai la balcanizzazione non si ferma

Francesco Bechis, 15.5.2020 formiche.net  lettura 4'

Intervista al politologo dell'Università di Perugia, in libreria con "Dopo" (Rubbettino). Conte punta al Quirinale. Il rischio elezioni ora è pari a zero, la tregua di Giorgetti è una presa d'atto della realtà. Salvini? Non deve temere Zaia, la Lega è un partito leninista

Centrodestra? Ostaggio delle contraddizioni che continuano a dividerlo in Ue. Alessandro Campi, politologo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, non usa giri di parole. In un’intervista con Formiche.net il professore, in libreria con Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione e le relazioni internazionali (Rubbettino)”, spiega perché, piaccia o no, l’ipotesi di una “tregua istituzionale” avanzata da Giancarlo Giorgetti, oggi, è semplicemente l’unica possibile.

Professore, in un’intervista al Wall Street Journal Giorgetti è tornato a parlare di tregua istituzionale, di responsabilità, di Europa. Sembra distante anni luce da Matteo Salvini. Come possono convivere queste due anime del Carroccio?

In verità le anime che convivono nella Lega sono – da sempre, non da oggi – tre: quella propagandistico-ideologica, quella più istituzionale o di Palazzo e quella interessata sopra ogni altra cosa al buon governo del territorio. Ieri Bossi, Maroni e i sindaci che amministravamo le città del Nord. Oggi Salvini, Giorgetti e la rete dei governatori del centro-Nord. Mi sembra un gioco di quadra molto efficace, una divisione dei compiti funzionale. Salvini parla al popolo attraverso i social, spesso aizzandolo: incarna l’anima radical-movimentista. Giorgetti intesse rapporti e legami con gli apparati e i poteri forti (interni e internazionali): l’anima moderata, responsabile e dialogante. I governatori coltivano il consenso delle categorie sul territorio: l’anima pragmatica e di governo.

C’è chi può sfidare la leadership del “Capitano”?

La Lega mi sembra difficilmente scalabile come partito, vista la sua natura centralistico-leninista. E considerato che Salvini in quel mondo, dentro il partito e tra gli elettori, continua a godere di un vastissimo consenso, è pur sempre l’uomo che ha portato la Lega dal 4-5% al 27-28% (a prendere i dati odierni): comunque si tratta di un miracolo politico.

Neanche Zaia ha le carte per farlo?

Zaia ha un grosso problema, politicamente parlando: è un ‘venetista’ in senso ideologico, coltiva da sempre propositi apertamente indipendentisti e dunque il suo partito potenziale coincide coi confini della regione che attualmente governa, peraltro bene. Non mi sembra la credenziale giusta per porsi come il nuovo capo di un partito che ha cercato di riaccreditarsi, in parte riuscendovi, come forza ‘nazionale’. In questo mi sembra un erede tutt’altro che involontario della vecchia Liga di Franco Rocchetta, antesignano, per dirla ironicamente, del ‘Make Veneto Great Again”. Peraltro il Veneto, pur essendo uno storico bacino di voti leghisti, non ha mai espresso un leader nazionale all’interno del Carroccio, la cui guida è sempre stata saldamente in mani lombarde. Sono equilibri e precedenti storici che pesano.

Quindi non esiste il derby Zaia-Salvini…

In questo momento un gioco sin troppo scoperto, fatto dagli avversari della lega o da chi mai la voterebbe, per indebolire il secondo senza nemmeno aver grande stima del primo. È successo talmente tante volte nel recente passato, quando la stampa in senso lato di sinistra cercava nel centrodestra qualcuno da contrapporre a Berlusconi, che non capisco come oggi si possa prendere questo gioco sul serio. A tagliare la testa dal toro, aggiungo anche che nella Lega a sostegno di Zaia s’è pronunciato il solo Maroni, cioè l’avversario interno storico di Salvini: basterebbe questo elemento politico a chiudere la discussione.

Giorgetti sembra allontanare una volta per tutte lo spettro delle elezioni. È realismo?

La definirei una posizione che nasce dalla rassegnazione, dal fatto cioè di doversi arrendere all’evidenza delle cose. Quali elezioni si potrebbero svolgere da qui alla primavera (se va bene) del 2021? Da settembre-ottobre, sperando che l’onda pandemia sia finita o non si ripresenti, saremo nel pieno della crisi economica. Ci sarà da gestire la recessione e la rabbia degli italiani: non mi sembra la condizione politico-sociale migliore, senza considerare quelle sanitarie, per mettersi a fare una campagna elettorale.

Commenti   

#1 riki 2020-05-17 09:19
FELTRI. Qualcuno auspica il crollo dell' esecutivo, tuttavia non spiega, in quanto non ne ha idea, come sostituirlo. Con tutti i guai che abbiamo ci mancherebbe soltanto di affannarci per trovare una nuova maggioranza, inesistente, e un nuovo capoccia per Palazzo Chigi, che ha tanti pretendenti non all' altezza.

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