Anschluss. Con il governo Conte, il Pd rischia di fare la fine dei repubblicani con Trump

Al Partito democratico sta accadendo col populismo grillino quello che negli Stati Uniti è accaduto al Gop col populismo trumpiano. Con l’aggravante che lì è stato il risultato di una dura battaglia, qui di una resa incondizionata

Francesco Cundari 23.5.2020 linkiesta.it lettura 4’

Sfortunatamente, l’uscita dal lockdown ha riaperto anche il dibattito politico-ideologico sulla natura del secondo governo Conte e del Partito democratico. Un dibattito tanto astruso e insincero da farsi a tratti surreale: con un governo che in piena pandemia non riesce a procurare a medici e cittadini nemmeno le mascherine per proteggersi, ascoltare ministri, dirigenti di partito e gran consiglieri discutere di come vorrebbero rivoluzionare il capitalismo italiano e mondiale fa tornare alla mente il Conte Mascetti mentre illustra orgogliosamente alla famiglia tutti i comfort dello squallido scantinato appena affittato, con il sostegno degli amici più fidati.

«Funzionale, l’arredamento convenzionale non usa più», commenta uno. «È lo stile moderno: pare che non c’è nulla e invece c’è tutto», si sforza di entusiasmarsi l’altro. E così, mentre nel paese continuano a scarseggiare i tamponi, e non si sa nemmeno se il presidente del Consiglio farà la grazia di accettare quei miseri 36 miliardi del Mes per le spese sanitarie, sui giornali s’infittisce il dibattito sul nuovo modello di sviluppo a cui il governo Conte dovrebbe dare impulso e l’impegno del Pd nel ridisegnare i confini della nuova sinistra mondiale.

Sperando di non svegliarli troppo bruscamente, ricordo brevemente a tutti gli intervenuti al dibattito lo stato dei fatti. Sono passati esattamente centottantotto giorni da quando, il 17 novembre 2019, Nicola Zingaretti dichiarava solennemente che il Pd si sarebbe battuto per cambiare i decreti sicurezza e approvare lo ius soli.

Se cominciassimo a contare semplicemente dal giorno dell’entrata in carica dell’attuale governo, 5 settembre 2019, sarebbero duecentosessantuno. Per cancellare i decreti sicurezza e tutti gli altri provvedimenti definiti fino al giorno prima – dagli stessi democratici, mica da qualcun altro – vergognosi, demagogici e disumani, pericolosi per la democrazia e per il bilancio dello Stato, il Pd ha avuto dunque, ripeto, la bellezza di duecentosessantuno giorni. Nel corso dei quali, oltre a non toccare un solo comma di tutti i provvedimenti bandiera del vergognoso governo precedente (sempre a detta del Pd, si capisce), Nicola Zingaretti ne ha anche elevato il capo, Giuseppe Conte, a «punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti», lasciando intendere di considerarlo il candidato ideale a guidare il «nuovo centrosinistra» alle prossime elezioni.

Come un simile Anschluss sia stato possibile è difficile spiegarlo in poche righe, e forse anche in molte. Ma può essere utile un parallelo con quello che è accaduto nel frattempo negli Stati Uniti, dove è successo qualcosa di simile, ma sul versante opposto dello schieramento politico. Qui infatti è il partito repubblicano, non i democratici, a essersi consegnato mani e piedi a quel micidiale miscuglio di opachi interessi privati, pulsioni autoritarie, demagogia, fake news, hate speech e cabaret di terz’ordine che negli Stati Uniti va sotto il nome di Donald Trump (e in Italia, almeno da duecentosessantuno giorni a questa parte, di «arco parlamentare»).

Anche in America in molti si domandano come il Grand old party abbia potuto consegnarsi a un simile soggetto, rinnegando tanta parte dei suoi principi, valori e tradizioni. La risposta degli antipatizzanti (a cominciare dal più antipatizzante di tutti, Paul Krugman) è che si sono tenuti stretti l’unica parte che gli interessava davvero, i soldi, vale a dire corposi e regressivi tagli alle tasse, oltre alla nomina di giudici ultraconservatori in tutti i posti liberi, dalla Corte suprema in giù. Resta da capire, per noi, che cosa si sarebbe tenuto stretto il Pd.

Naturale che anche prima, per i repubblicani come per qualsiasi altro partito del mondo, l’autonarrazione identitaria e l’elenco dei propri principi non corrispondeva certo alla lettera con la realtà della politica di ogni giorno, con tutte le contraddizioni, i compromessi e le verità di comodo del caso. Ma il punto non è se e quanto i repubblicani, anche prima, fossero coerenti con i principi che professavano. Il punto è che, con la presidenza Trump, sono cambiati proprio i principi.

A differenza di quanto accaduto da noi tra Pd e Movimento 5 stelle, e a onore dei repubblicani, va detto che la destra americana, prima di consegnarsi, ha combattuto con tutte le sue forze. E diversi dei suoi più autorevoli esponenti, a cominciare da tutti gli ex presidenti e candidati alle presidenziali ancora in vita, hanno più volte preso nettamente posizione contro questa deriva. Niente di simile è accaduto in Italia. Non uno dei cosiddetti «padri nobili» del Partito democratico, in generale mai avari di interviste e dichiarazioni, ha sentito l’esigenza di prendere la parola su questo punto, di denunciare un simile snaturamento. E pensare che negli anni recenti, per scelte moralmente e democraticamente assai meno impegnative del mettere (o lasciare) una multa milionaria su chi salva altri esseri umani, non erano mancati gravi moniti e sofferti altolà.

In breve, l’impressione è che in Italia al Partito democratico stia accadendo con il populismo grillino quello che negli Stati Uniti è accaduto ai repubblicani con il populismo trumpiano. Con l’aggravante che lì è stato il risultato di una battaglia duramente combattuta, qui di una resa incondizionata. E non solo da parte della politica.

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