Appeasement strategico. No al 5G e sì ai lager, il Pd è in piena sindrome di Monaco

Nel partito di Zingaretti abbondano gli amministratori pronti a fare le barricate contro le antenne e scarseggiano i senatori disposti a votare contro i campi libici. Autodafé di una classe dirigente

Francesco Cundari, 9.7.2020 linkiesta.it lettura 3’

Mentre si moltiplicano lungo la penisola sindaci e consiglieri comunali del Partito democratico pronti a cavalcare anche l’ultima campagna populista, allarmista e antiscientifica (in una parola: grillina) contro le antenne del 5G, in parlamento scarseggiano gli esponenti del Pd disposti a prendere posizione contro i lager libici e i loro organizzatori (per gli amici: guardia costiera libica) di cui due giorni fa il Senato ha votato compatto il rifinanziamento.

Solo tre i democratici che hanno votato contro: Vincenzo D’Arienzo, Valeria Valente e Francesco Verducci. E questo nonostante l’Assemblea nazionale del Pd a febbraio avesse votato all’unanimità un ordine del giorno che impegnava il partito a fare l’esatto contrario, riscrivendo i termini dell’accordo Italia-Libia, svuotando i lager e troncando i rapporti con la cosiddetta guardia costiera. Per chi fosse interessato, il testo integrale è ancora leggibile sul sito del partito, sotto l’inequivoco titolo: «L’Assemblea nazionale PD approva all’unanimità l’odg sulla Libia».

In compenso, quando si tratta di battersi contro le scie elettromagnetiche dei telefonini, non mancano al Pd gli amministratori pronti a sospendere l’installazione delle antenne «per tutelare la salute» di tutti perché, come ha detto il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, «ad oggi non esistono certezze rispetto agli effetti che questa nuova tecnologia ha sulle persone».

Né mancano, laddove all’opposizione, interi gruppi consiliari pronti a chiedere alla giunta di fare altrettanto, come avvenuto a La Spezia, con un’interpellanza motivata dai «numerosi esposti effettuati alle procure italiane che richiedono l’apertura di indagini sui pericoli per la salute provocati dalla rete 5G».

È una deriva che non lascia presagire nulla di buono per il futuro, ma fornisce un istruttivo contrappunto alle parole di Giuseppe Conte sui suoi grandiosi progetti di digitalizzazione dell’Italia, per non parlare dell’Alta velocità dalle Alpi alla Sicilia e di tutti gli immaginifici investimenti in infrastrutture con cui il suo governo spera di convincere l’Unione europea, dimenticandosi di convincere prima i propri sindaci, parlamentari, consiglieri comunali e presidenti di Regione.

 

La scelta del Pd di ricandidare Michele Emiliano in Puglia, da questo punto di vista, appare più che una garanzia. Ma forse ancora più significativo è il comunicato in cui i consiglieri del Pd di Ragusa, all’opposizione, danno atto alla giunta (Fratelli d’Italia) di avere raccolto le loro sollecitazioni, bloccando le perfide antenne.

Dalla Liguria alla Sicilia, dall’ultimo comune della Toscana all’aula del Senato, che si tratti di lottare contro il 5G o di finanziare i lager libici, sembra delinearsi sempre più spesso una maggioranza larghissima, che va da Fratelli d’Italia al Partito democratico, passando per Lega e Movimento 5 stelle.

Viene dunque da domandarsi se una simile mutazione sia ormai inarrestabile.

Se tra i principi condivisi della nostra classe dirigente dovremo abituarci a considerare l’uso politico della paranoia antitecnologica e antiscientifica, le campagne di odio e le pulsioni securitarie, in un micidiale miscuglio di fanatismo moralizzatore e relativismo etico capace d’indignarsi per i vitalizi degli ex parlamentari e al tempo stesso di esternalizzare il contenimento dell’immigrazione a miliziani, trafficanti e torturatori di ogni genere, senza che nessuna autorità politica o morale senta il bisogno di dire una parola (l’unico ieri è stato Papa Francesco, che ha parlato delle violenze atroci che avvengono nei lager libici e delle quali a noi arriva solo una versione «distillata»).

O se in un futuro non troppo lontano – magari dopo le elezioni regionali di settembre, o dopo le elezioni americane di novembre – torneremo in noi stessi e guarderemo a tutto questo con lo stesso sgomento con cui oggi leggiamo i discorsi dei promotori della pace di Monaco.

Certo è che l’ora è buia davvero, e di Churchill in giro se ne vedono pochi.

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