La Gabbia al potere- Bello il dibattito sulla cancel culture, ma in Italia è solo l’ultimo rifugio dei prepotenti

Qui abbiamo avuto la Restaurazione senza avere avuto la Rivoluzione, e oggi pure la resistenza contro una dittatura, quella del «politicamente corretto», che non abbiamo mai conosciuto

Francesco Cundari, 10.7.2020 , linkiesta.it lettura 3’

In Italia abbiamo avuto la Controriforma senza avere avuto la Riforma protestante. Abbiamo avuto la Restaurazione senza avere avuto la Rivoluzione francese. Abbiamo avuto la rivolta populista contro le élite alimentata direttamente dalle élite (ma prima di tutti gli altri: noi abbiamo cominciato negli anni novanta). E oggi, coerentemente, abbiamo pure la resistenza contro la dittatura del politicamente corretto. Qui. Nel paese di Ciao Darwin e La Gabbia (sia detto con tutto il rispetto per Ciao Darwin, che oltre a essere un programma leggero e fondamentalmente innocuo, non ha sfornato metà dell’attuale classe dirigente grilloleghista).

Un paese in cui, per stare solo agli ultimi giorni, la notizia di un uomo che uccide i due figli come vendetta nei confronti dell’ex moglie viene rubricata sotto la voce «il dramma dei papà separati» e lo stupro di due adolescenti è riassunto in un titolo in cui loro sono «ubriache fradice» e lui è «l’amichetto».

Un paese in cui siede ancora allegramente in Senato, senza che nessuno se ne adonti, il senatore del Movimento 5 stelle Elio Lannutti, che su Twitter e Facebook rilanciava i protocolli dei Savi di Sion; dove Fratelli d’Italia può fare manifesti in cui mette all’indice il finanziere ebreo George Soros come «usuraio» e in cui dall’altra parte Alessandro Robecchi, indignato da simili messaggi e dalle successive giustificazioni capziose dei dirigenti del partito, può scrivere sul Fatto quotidiano che «tre indizi fanno una prova, dieci indizi fanno una certezza e dopo cento indizi dovrebbero intervenire i partigiani del Cln con lo schioppo» (più altre velate allusioni a risolvere il problema «come l’altra volta, settantacinque anni fa»).

Qui però devo interrompermi e fare un paio di noiose precisazioni. Per quanto mi ripugnino gli ammiccamenti della propaganda di Fratelli d’Italia a formule degli anni trenta: 1) mi ripugnano altrettanto quando vengono dal Movimento 5 stelle (anzi, se vogliamo essere precisi, nessun parlamentare di Fratelli d’Italia è arrivato al punto da rilanciare un testo esplicitamente antisemita e dalla storia inequivocabile come i Protocolli dei Savi di Sion); 2) non è possibile in ogni caso nessuna pilatesca equivalenza: in un paese con la nostra storia, dove il terrorismo è durato decenni, e ha trovato ampie sponde nelle redazioni dei giornali, evocare l’intervento dei partigiani «con lo schioppo» è come minimo molto irresponsabile.

In ogni caso, e a onta delle occasionali polemiche che li vedono contrapposti, la battaglia contro l’inesistente dittatura del «politicamente corretto» non è che l’ultima delle comuni radici da cui si alimenta la grande koinè populista che si estende ormai dal Movimento 5 stelle a Fratelli d’Italia, dalla Lega a sempre più larghi spezzoni del Pd in via di grillizzazione, dal Fatto quotidiano di Marco Travaglio ai cento talk show che hanno raccolto il testimone della Gabbia di Gianluigi Paragone.

In Italia è possibile dire in televisione e scrivere anche sui giornali più blasonati, senza che nessuno se ne scandalizzi e spesso neanche se ne accorga, cose che negli Stati Uniti sarebbero causa di licenziamento. Una tendenza che peraltro, in America, ha fatto anche molte vittime innocenti, e che rappresenta, se portata all’estremo, una minaccia alle basi stesse di una società aperta e pluralista.

E questa è la ragione per cui il dibattito sugli eccessi della cancel culture è interessantissimo e decisivo, perché riguarda una questione cruciale quale il confine tra libertà di espressione e tutela delle minoranze dall’istigazione all’odio, tra legge della giungla e ossessioni neopuritane, tra libertà e responsabilità.

Ma in Italia è solo l’ultimo rifugio dei prepotenti.

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